
A ottobre del 2019 gli Stati Uniti avevano imposto una serie di dazi – fino al 25% – su determinati prodotti europei come risposta al contenzioso instauratosi tra il colosso americano Boeing ed il gruppo europeo Airbus SE.
Le conseguenze, specialmente per l’export alimentare italiano, erano state catastrofiche con danni per miliardi di euro in particolare nel settore caseario e dei liquori.
Il 14 giugno a Bruxelles la Presidentessa della Commissione Ursula Von der Leyen ha firmato con il Presidente americano Joe Biden la sospensione dei dazi per un lustro.
Un accordo che, soprattutto in un periodo di ripresa economica come questo, mira a dare ossigeno alle imprese.
Nello stesso periodo la guerra commerciale si è spostata ad Oriente.
La trade-war, come ribattezzata dai media, era iniziata nel marzo del 2018 ed è durata fino al 2020, concludendosi con un accordo secondo il quale Pechino si impegnava ad acquistare prodotti americani aggiuntivi per 200 miliardi di dollari nell’arco di due anni.
Ora però lo scenario sta rapidamente cambiando: ad inizio giugno il Dipartimento americano del Tesoro ha dettato la linea dura – c.d. linea di Kurt Campbell – per la quale dal 2 agosto prossimo sarà proibito alle società americane investire in dozzine di aziende cinesi presumibilmente legate ai settori della tecnologia di difesa o sorveglianza e, non meno degno di nota, sarà il Tesoro ad aggiornare costantemente la nuova blacklist nei confronti di 59 società cinesi tra le quali China Mobile Communications Group, China National Offshore Oil Corp, Huawei, mentre tra le escluse spiccano Xiaomi e alcune industrie specializzate nella produzione di semiconduttori.
La Repubblica Popolare Cinese non è restata a guardare ed il 10 giugno, in concomitanza al G7 tenutosi in Cornovaglia, il Comitato Permanente dell’Assemblea nazionale del popolo ha promulgato la Legge contro le sanzioni estere al fine di “salvaguardare la sovranità nazionale, la sicurezza, l’interesse allo sviluppo e tutelare i legittimi diritti ed interessi delle organizzazioni e dei cittadini della Repubblica Popolare cinese”, come recita l’art. 1.
Definita come una nuova “Legge del taglione”, nei 16 articoli di cui si compone prevede una serie di contromisure nei confronti degli individui o delle imprese che aderiscono alle sanzioni straniere contro imprese o funzionari cinesi. Si va dal rifiuto del visto al sequestro e congelamento dei beni, passando per il divieto di ingresso nel territorio della RPC all’espulsione dal suddetto Paese.
Sarà il Consiglio degli Affari di Stato a stabilire, con un’apposita lista, quali siano le persone fisiche o giuridiche che impiegano misure discriminatorie contro i cittadini cinesi o interferiscono con gli affari interni della Cina.