
In altre occasioni è stato posto l’accento sul fatto che la Giustizia Italiana, che in ogni aula di Tribunale riporta in bella vista l’aforismo: La Legge è uguale per tutti, molto spesso si esclude dal novero di quelli per cui vale la massima, principalmente se è il Ministero della Giustizia ad essere chiamato a rispondere di una nefandezza, per essersi comportato né più e né meno analogamente a quanti che dopo aver utilizzato un servizio o acquistato un bene decidono di non pagarlo.
L’aggravante, nel caso del Ministero della Giustizia, è rappresentato oltre che dallo stridente contrasto tra la posizione assunta ed il termine inserito nella sua stessa denominazione: Giustizia, soprattutto nel fatto che le aziende che hanno dovuto subire questa situazione – che se originata da altri soggetti economici sarebbe stata definita delinquenziale – volendo far valere i propri diritti, garantiti da Leggi dello Stato Italiano, devono rivolgersi a strutture che, pur nella loro autonomia, stabilita dalla Costituzione, dipendono dallo stesso Ministero.
Pertanto accade che la Corte di Cassazione, forse per evitare che il Ministero della Giustizia debba pagare forti somme a ristoro dei ritardati pagamenti, decida di dare una interpretazione, ai ricorsi che le sono stati sottoposti, che non condanna chi non ha pagato i servizi ed i materiali utilizzati, bensì sostenga che sia giusto il pagamento “sine die” o ad “UFO” (ad usum fabricae operis), definizione in uso nel periodo in cui si rifaceva la Basilica di San Pietro, perché i materiali occorrenti, godendo di particolari franchigie, non venivano pagati o lo erano solo in parte.
La professionalità e la tenacia di un pool di studi legali di Milano (Studio Greenberg Traurig Santa Maria, Studio Cocco Salomoni Santoro e Studio Gatto) che hanno proposto un ricorso, di alcune Società associate ILIIA, alla Commissione Europea ed al CEDU per la violazione del diritto unitario, ha incassato un punto a favore, in quanto la Commissione Europea ha contestato all’Italia la mancata applicazione della direttiva europea finalizzata a contrastare i ritardi nei pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione e quindi, nella specie, del Ministero della Giustizia, ed ha avviato un procedimento che consiste nel fornire allo Stato membro l’opportunità di rispondere agli addebiti mossi nei suoi confronti.
Se la messa in mora della Commissione non induce lo Stato membro a porre fine all’inadempimento, la Commissione può pronunciare un parere motivato e se anche questo non induce lo Stato membro a porre fine all’inosservanza può essere proposto, dinanzi alla Corte di Giustizia, un ricorso per violazione del diritto dell’Unione.
Più in concreto, per effetto dell’avvio della procedura l’Italia è ora tenuta a replicare all’atto di messa in mora ricevuto e rispondere agli addebiti, eventualmente adottando le misure necessarie per ovviare alle violazioni contestate.
Nell’ipotesi di mancata tempestiva risposta dell’Italia, oppure nel caso in cui le ragioni addotte non fossero considerate convincenti o comunque i rimedi eventualmente prospettati non fossero ritenuti idonei a risolvere il problema evidenziato, la Commissione potrà decidere di inviare un parere motivato, come già più sopra precisato, indicando le misure da adottarsi e, in caso di loro mancata attuazione, adire la Corte di Giustizia della Unione Europea affinché questa condanni l’Italia, dichiarando l’illegittimità del comportamento sino ad ora tenuto.
Nel frattempo, pero le vulcaniche menti dei funzionari del Ministero della Giustizia stanno già pensando oltre per risolvere il problema alla fonte, per cui il DOG (Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria) ha inviato una circolare a tutti i vertici della Magistratura Nazionale in cui forniva, eufemisticamente parlando, delle linee guida secondo le quali è necessario rifiutare l’accettazione della cessione dei crediti da parte delle società che operano per le Procure della Repubblica, ovvero non bisogna accettare che le società, non vedendosi pagate, per poter continuare ad operare – quindi fornire le prestazioni, pagare i dipendenti e i fornitori, i contributi all’Inps e le tasse all’Erario tenuto conto che eventuali ritardi di questi ultimi oltre a prevedere forti penali, non farebbero rilasciare il DURC, in assenza del quale la PA blocca tutti i pagamenti – riconoscendo discrete percentuali economiche che vanno a detrimento dei margini – si facciano anticipare i crediti vantati nei confronti del Ministero della Giustizia, da banche o società finanziarie che di fatto, a seguito di questa operazione, diventerebbero i nuovi creditori del Ministero.
Pertanto se questo continuasse a non pagare, sarebbero abilitati ad iniziare le procedure esecutive, cui la Cassazione non potrebbe più opporsi – fornendo un assist al Ministero, come fatto in passato – in quanto il debito, essendo stato accettato, non ha necessità di precetto perché è provvisoriamente esecutivo.
In altre parole il Ministero della Giustizia dice alle società fornitrici: non solo non ti pago – dopo aver utilizzato i tuoi servizi per la cui esecuzione ti ho fatto anticipare, anche per anni, necessari per completare una indagine, solo alla cui conclusione è possibile proporre una pre fattura, altra gabola ministeriale per ritardare ulteriormente la fatturazione – ma una volta completato tutto l’iter che porta alla fatturazione, non ti permetto di cedere, in modo oneroso a tuo carico, il credito, perché chi lo riceve potrebbe più facilmente proporre procedure esecutive nei suoi riguardi, ma d’altro canto si erge, Cicero pro domo suo, a paladino della Giustizia, additando come “delinquente” chi non tiene fede agli impegni presi, fidando nei pagamenti tempestivi delle proprie prestazioni, pretendendo tasse contributi o proponendo il fallimento delle società, con conseguenti azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, se non sono rispettati gli impegni di pagamento presi dalle società stesse.
Naturalmente “LA LEGGE È UGUALE PER TUTTI”.