
La mancata autorizzazione all’atterraggio di un aereo dell’Aeronautica Militare italiana negli Emirati Arabi non è l’unico incidente diplomatico accaduto in questi giorni con quel Paese.
Senz’altro il diniego di quelle che in gergo internazionale vengono chiamate diplo-clearance al Boeing 767 della nostra aviazione diretto in Afghanistan per la cerimonia di chiusura della missione italiana, ha comportato un grave disservizio, oltre al fatto che a bordo vi erano numerosi giornalisti e l’accaduto è stato diffuso con il dovuto clamore. Il volo, costretto ad atterrare per il rifornimento all’aeroporto di Dammam in Arabia Saudita, è giunto a destinazione ad Herat con molte ore di ritardo.
Pare però che contestualmente l’altra pesante tegola caduta sul Governo italiano sia lo sfratto esecutivo dalla base emiratina di Al Minhad, dove l’Italia da anni ha costituito il suo scalo per i voli in transito verso Iraq e Afghanistan.
In quella base lavorano almeno un centinaio di militari principalmente dell’Aeronautica. Essa è essenziale per il passaggio dai voli di trasporto passeggeri ai necessari voli tattici e funge anche da foresteria per il ristoro dei militari provenienti dalle missioni più estreme. La sua perdita provocherebbe notevoli disagi alla pianificazione dei voli per quell’area.
Che cosa sta succedendo? Più cause potrebbero aver generato un deterioramento dei rapporti con un Paese ritenuto commercialmente fondamentale, sino a giungere alla rottura in atto con delle conseguenze imprevedibili.
La prima nasce da una risoluzione approvata il 22 dicembre scorso alla Camera con la quale i proponenti Yana Chiara EHM (M5S) e Lia Quartapelle (PD) hanno chiesto di revocare e sospendere le licenze all’esportazione di materiali d’armamento agli Emirati Arabi Uniti, considerati alleato chiave della coalizione guidata dall’Arabia Saudita, impegnata in Yemen, accanto alle forze dell’esercito regolare, a contrastare le milizie di ribelli sciiti Houthi. Il precedente governo ha accettato e al momento le transazioni di armamento tra i due Paesi sono congelate. Più del congelamento ad aver irritato gli emiratini sono state le note di esultanza seguite all’approvazione della risoluzione.
Non solo. Di pari passo l’Italia ha incrementato i rapporti proprio nel campo degli armamenti con il Qatar che, pur avendo da poco riaperto le frontiere e i rapporti commerciali con gli Emirati, mantiene posizioni in politica internazionale del tutto dissonanti dal proprio confinante.
A marzo di quest’anno è poi scaduto l’accordo bilaterale tra Italia ed Emirati nel campo della Difesa in vigore da dieci anni e non è stato rinnovato. Le parti stavano negoziando la proroga da molto tempo, ma evidentemente la trattativa non ha condotto alla sottoscrizione del nuovo documento con il risultato che tutto il personale italiano che si trova al momento nel territorio emiratino è privo di copertura giuridica.
Da ultimo va considerata la posizione degli Emirati in Libia, facenti parte di una coalizione avversa a quella cui apparteneva l’Italia e ancora riluttanti a lasciare quel territorio.
Insomma i bei tempi in cui i piloti emiratini erano ben orgogliosi di essere stati addestrati dagli istruttori italiani sembrano passati e la pattuglia acrobatica composta da piloti provenienti dalle ricche famiglie di Dubai forse non mutuerà più le complesse manovre dell’omologa, si fa per dire, italiana.
Si spera comunque che il dissidio sia contenuto a livello Difesa e che non abbia ripercussioni su altri rapporti commerciali. L’Expo di Dubai è alle porte e gli imprenditori italiani stanno seguendo la vicenda preoccupati e con giusta apprensione.