
Triplice fischio. Nella giornata di oggi si scrive la parola fine alla vicenda lunga e dolorosa che riguarda le concessioni autostradali alla società Autostrade per l’Italia (Aspi). Dopo l’accordo del luglio 2020 l’assemblea degli azionisti della società controllante Atlantia ha accettato l’offerta per l’acquisto dell’88,06% del capitale di Aspi, avanzata da Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) unitamente ai fondi Blackstone e Macquarie.
Tutto inizia nella mattina del 14 agosto 2018 quando crolla sotto gli occhi increduli dei genovesi il viadotto sul Polcevera, detto anche Ponte Morandi, che si porta via per sempre ben 43 persone. Il governo di allora, Conte1, di fronte a quell’immane tragedia aveva assunto l’impegno di essere intransigente con il concessionario. La parola chiave nei giorni e nelle settimane che hanno seguito quella drammatica vigilia di Ferragosto ce la ricordiamo tutti: revoca delle concessioni. Ebbene, revoca non è stata. Purtuttavia qualche motivo di fondo c’è, e non si deve addebitare alla mancanza di coraggio e di coerenza.
L’Avvocatura di Stato all’inizio del 2020 aveva fatto pervenire un parere, richiesto dal governo Conte2, che avvertiva sul chiaro rischio che venisse riconosciuto ad Aspi da qualche tribunale nazionale o europeo il diritto ad un corposo risarcimento. L’intenzione, la minaccia, o lo slogan della revoca a partire da quel momento è diventato sostanzialmente impraticabile.
Cosa ha accettato dunque l’assemblea degli azionisti? Con 1129 azionisti a favore e 60 contrari è stata promossa l’offerta che valuta in 7,9 miliardi l’88,06% di Aspi. La famiglia Benetton, proprietaria del 30,2% di Atlantia attraverso l’holding Edizione incasserà dunque circa 2,38 miliardi. Il prossimo passo per la definitiva archiviazione della pratica è la riunione del cda di Atlantia. La data cerchiata in rosso sul calendario è quella del 10-11 giugno, nella quale sarà dato il disco verde agli accordi con Cdp da completarsi presumibilmente entro giugno.