
A poco più di nove settimane dall’inizio previsto dei giochi olimpici in Giappone, la situazione è tutt’altro che chiara.
Come per tutte le grandi manifestazioni sportive di questa importanza, le Olimpiadi hanno sempre avuto un processo di preparazione lungo e laborioso. Rimane nella memoria collettiva italiana la grande corsa fatta per completare in particolare le infrastrutture per le Olimpiadi Invernali di Torino, ed i Mondiali di nuoto di Roma, con l’inevitabile strascico di sprechi, polemiche, e relitti urbanistici abbandonati dopo la grande festa dello sport.
Alle normali difficoltà di cui sopra, la pandemia di COVID ha aggiunto una spessa coltre di incertezza legata alla possibilità di preservare la salute, in primo luogo, di atleti ed accompagnatori; ed in secondo luogo di tutti quanti venissero in contatto con questi ultimi al ritorno nei rispettivi paesi. Come sanno benissimo i giocatori dell’ormai famigerato gioco di simulazione Plague Inc., l’organizzazione di grandi eventi e il conseguente assembramento di persone che poi si spargono ai quattro venti, può essere un vettore molto efficiente di diffusione di una malattia infettiva.
Per questo motivo, la scorsa settimana i 6.000 membri dell’Associazione dei Medici di Tokyo hanno inviato una lettera al Primo Ministro giapponese, al Governatore di Tokyo, al Ministro per le Olimpiadi ed al Capo del Comitato Organizzativo. In tale lettera, essi hanno richiesto con urgenza l’annullamento delle Olimpiadi per ragioni di sanità pubblica. Secondo i firmatari, “la scelta corretta è quella di cancellare un evento che ha la potenzialità di aumentare i numeri di persone ammalate e di morti. I virus sono diffusi dagli spostamenti delle persone. Il Giappone avrà una responsabilità pesante se i Giochi Olimpici e Paralimpici peggioreranno la pandemia, aumentando il numero di coloro che soffriranno e moriranno”.
Le preoccupazioni dei medici giapponesi sembrano giustificate dalla situazione nel paese del Sol Levante. La maggior parte del territorio, inclusi i centri olimpici di Tokyo ed Osaka, è in stato di emergenza. A confermare le tensioni che circondano l’evento, i sondaggi di opinione nella popolazione giapponese circa l’opportunità di svolgere regolarmente la kermesse olimpica esprimono un tasso di contrarietà che oscilla tra il 60 e l’80%.
La decisione che pesa sulle spalle del governo giapponese non è delle più facili. Secondo le stime ufficiali, la spesa affrontata fino a questo momento è stata di almeno 15,4 miliardi di dollari. La cancellazione avrebbe quindi un costo diretto enorme, non controbilanciato dagli incassi provenienti dai diritti televisivi.
Nello stesso momento, il Giappone ha avuto fino a questo momento più di 11.500 morti per COVID-19, un livello relativamente basso considerata anche l’età media della popolazione, ma peggiore della maggior parte dei paesi asiatici vicini.
La legittima preoccupazione dei medici giapponesi fa eco alla pubblicazione circa un mese fa di un editoriale sul prestigioso British Medical Journal, il quale ha sottolineato il potenziale rischio sanitario derivante dall’organizzazione dei Giochi.
Le Olimpiadi sono nate nell’era antica come momento di unità e concordia tra i popoli, tanto che anche le città in guerra tra loro sospendevano le ostilità durante il periodo di svolgimento degli stessi. Stiamo tuttavia combattendo una guerra molto diversa, dalla quale non è possibile prendere dei momenti di pausa, e che, specie ora che cominciano ad intravedersi degli spiragli di luce, richiede il mantenimento della massima attenzione e prudenza a tutti i livelli.