CITTADINI & UTENTI

Lo Stato-padrone e la digital transformation

Una linea marcatamente neo-statalista, accentratrice e dirigista collega tra loro diverse innovazioni “digitali” contenute nel PNRR. Eccone alcune.

La trasformazione digitale messa nero su bianco dal Governo nel Piano nazionale di ripresa e resilienza consente di porre alcuni quesiti che hanno a che fare con la concezione stessa della funzione dello Stato: dove il principio di “sovranità” nazionale sembra conoscere una sola traduzione: “statalizzazione”.

È questa chiave di lettura che si ricava considerando la configurazione di alcune scelte strategiche che il Piano contiene.

A pagina 122 del Piano, ad esempio, è previsto che le amministrazioni centrali con tutti i loro dati, migrino nel Polo Strategico Nazionale (PSN) ovvero in una “nuova infrastruttura dedicata cloud, localizzata sul territorio nazionale e all’avanguardia in prestazioni e sicurezza”. Diciamo che il testo non prevede espressamente lo strangolamento di Aruba, Telecom, Wind e tutti gli altri soggetti che operano in questo specifico settore, ma di certo ne compromette il piano di sviluppo dal momento che l’amministrazione pubblica può chiudersi a riccio nel proprio “public cloud”.

Tale previsione è rafforzata scorrendo il testo alla pagina successiva (pag.123), paragrafo “Dati e interoperabilità”, dove è prevista la creazione di una “piattaforma Nazionale Dati” che offra alle amministrazioni un catalogo di “connettori automatici”, consultabili e accessibili tramite un servizio dedicato. In sostanza lo Stato farà da centro-stella a tutte le sue amministrazioni, calpestando il principio di sussidiarietà e delimitando pesantemente il perimetro dei servizi privati. 

Una fattispecie specifica del neo-centralismo di cui stiamo parlando è chiaramente rinvenibile nella decisione di rendere la app “IO” il punto di accesso unico per i servizi digitali della pubblica amministrazione. Di fatto “IO” – ovvero Pago PA – diviene la Società in house del Governo a cui ricondurre tutti i servizi digitali. Quali? Ad esempio la posta elettronica certificata (3 miliardi di pec nel 2020), servizio che oggi è reso da operatori privati e consente di non dover ricorrere alla tradizionale (e costosa) raccomandata. Ma il testo contenuto nel PNRR si spinge oltre, stabilendo che “IO” partirà dai servizi Spid e Cie (la carta di identità) assumendo di fatto il ruolo di monopolista della firma digitale.

A fronte di tale imprinting predatorio in ambiti in cui il privato gestisce medesimi servizi con efficienza e apprezzamento da parte di chi li utilizza, fa riscontro una certa pigrizia nell’affrontare questioni decisive appartenenti – queste sì – al solo ruolo dello Stato. Ad esempio è di tutta evidenza che un gigantesco sforzo finanziario di digitalizzazione della PA sul versante dei servizi resterà compromesso se non sarà accompagnato da un altrettanto gigante sforzo di digitalizzazione degli archivi. Tanto per esemplificare, il Superbonus 110 per cento ha ingigantito il ricorso alle tradizionali pratiche “analogiche” di consultazione e validazione dal momento che i requisiti obbligatoriamente previsti dal Superbonus vanno ricondotti a quanto contenuto nel catasto, la cui digitalizzazione è di là da venire. Non solo: non è nemmeno prevista. 

Infatti, a pagina 124, paragrafo “Digitalizzazione delle grandi amministrazioni centrali” è prevista la digitalizzazione del cartaceo residuo della Giustizia al fine di completare il fascicolo telematico e migliorare i processi operativi di Giustizia ordinaria; è prevista la digitalizzazione di sistemi di applicazione di Inps e Inail e quelli della Difesa, Interni e Guardia di Finanza. La PA è esclusa.

Viceversa, se si scende a livello di amministrazioni locali il PNRR istituisce un supporto “preconfigurato” in pacchetti di migrazione che garantiscano una digital transformation diffusa. Ma anche qui la mano dello Stato cala il suo pugno di ferro: è deliberata infatti la creazione di una Newco (statale) che metta assieme competenze tecnologiche oggi frammentate su più attori, ai quali non viene eventualmente chiesto lo sforzo di rendere unitario e performante il loro lavoro ma semplicemente di farsi da parte.

Una contro-prova dei giudizi fin qui espressi l’avremo a breve, quando sapremo il profilo dei nuovi rappresentanti delle newco o delle società espressamente individuate: risalendo per i rami potremo ricostruire la trama di interessi e di conquista di quanti, dietro le quinte, hanno puntato alla gestione della trasformazione digitale.

Per ora due conclusioni. La prima è tutta interna al Consiglio dei Ministri. Quanto osservato spiega, ad esempio, perché la task force voluta da Vittorio Colao (ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione) sulla PA sia avvenuta all’insaputa del ministro Renato Brunetta, titolare del ministero per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione, e senza rappresentanti del medesimo ministero; spiega  perché Brunetta  abbia provveduto ad istituire una contro-task-force tutta interna  e spiega perché tra i due ministeri non esista dialogo di sorta ma solo atti formali di corrispondenza istituzionale.

La seconda conclusione riguarda noi che non sediamo nel Consiglio dei Ministri: abbiamo tutto il diritto di sperare che il finanziamento comunitario connesso al PNRR non partorisca un inutile e dannoso gigantismo statuale che, anziché liberare le energie migliori che operano in Italia, ne mortifica e riduce l’orizzonte operativo costringendole a preoccuparsi della concorrenza statale anziché dei servizi da rendere ai cittadini.

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