TECNOLOGIA

Supercomputer e archeologia, un’accoppiata vincente

L’utilizzo di un programma di simulazione su un supercomputer ha consentito di compiere importanti scoperte storico-archeologiche e potrebbe rappresentare una base preziosa per ricerche future.

È fresco di pubblicazione su Human Nature Behaviour uno studio che promette di essere apripista nella collaborazione ai fini di ricerca archeologica tra l’uomo e gli ultimi ritrovati della tecnologia dell’informazione. Alcuni ricercatori provenienti da diverse università statunitensi hanno cercato di ricostruire mediante un supercomputer le rotte dei primi uomini che hanno messo piede in Australia, oltre 65 mila anni fa.

Il compito sarebbe stato proibitivo per qualunque computer tradizionale. Sono state infatti eseguite circa 125 miliardi di simulazioni per verificare i possibili tragitti impiegati dai primi uomini decisi a distribuirsi nel continente australiano. Protagonista della simulazione è un prototipo di viaggiatore, una donna di 25 anni che trasporta 10 kg di provviste. 

Le simulazioni hanno calcolato quante calorie avrebbe bruciato la donna percorrendo ogni possibile percorso. Sono stati presi inoltre in considerazione quali percorsi avrebbero fornito un approvvigionamento affidabile di acqua, sulla base di ciò che è attualmente noto sui laghi, i fiumi e le sorgenti esistenti in Australia all’epoca. La squadra ha anche simulato ciò che il viaggiatore avrebbe visto camminando, con particolare attenzione a punti di riferimento come affioramenti frastagliati o creste prominenti, che avrebbero potuto essere d’aiuto nella navigazione.

Il co-autore dello studio, Devin White -un archeologo del U.S. Department of Energy Sandia National Laboratories- ricorda le diverse settimane che sono state necessarie per eseguire le complesse simulazioni su un supercomputer gestito dal governo degli Stati Uniti. Il risultato alla fine è stato raggiunto. È stata effettivamente restituita una rete di “autostrade ottimali”, ovvero avente le combinazioni più attraenti: percorsi più semplici da intraprendere, acqua e punti di riferimento diffusi. 

Il definitivo salto di qualità per la valorizzazione dei risultati prodotti dalla simulazione si deve all’idea del leader del gruppo di ricercatori Stefani Crabtree, archeologa alla Utah State University e del Santa Fe Institute: “Ci sono prove che davvero questi percorsi siano stati effettivamente intrapresi?

Per rispondere a questa domanda i ricercatori hanno confrontato i percorsi delineati dal supercomputer con la posizione di oltre trenta siti archeologici in Australia risalenti ad almeno 35.000 anni fa. Molti di questi siti sono risultati in corrispondenza o nelle vicinanze di queste autostrade primitive. Alcune di esse risultano addirittura corrispondenti a rotte commerciali riportate nella tradizione orale indigena, o talvolta coerenti con studi genetici e linguistici utilizzati per tracciare le prime migrazioni umane.

L’utilità della mappa potrebbe anche rivelarsi nella possibilità di individuare nuovi siti archeologici sinora sconosciuti. Addirittura, dato che alcune autostrade risultano parzialmente sommerse, la mappa potrebbe essere un prezioso aiuto per i ricercatori che si occupano di esplorazione sottomarina. Altro elemento significativo sottolineato dagli autori è che alcune delle autostrade passano per l’Australia centrale, mettendo così in discussione una visione ampiamente diffusa fino ad oggi che le persone evitassero in ogni modo le zone desertiche.

Lo studio potrebbe essere replicato in altri continenti, ma avrebbe assolutamente bisogno di usare un supercomputer, strumento ancora poco diffuso nelle realtà di ricerca. L’approccio impiegato dal gruppo di ricercatori potrebbe rivelarsi significativo anche per prevedere le future rotte dei migranti climatici alla ricerca di un ambiente meno ostico in cui vivere.

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