
Quando ero bambino “la mascherina” era quella persona (quasi sempre di sesso femminile) che munita di torcia elettrica accompagnava le persone a prender posto nelle sale cinematografiche.
Oggi quel mestiere è praticamente sparito ed il termine “mascherina” è tornato alla ribalta a causa dell’emergenza sanitaria causata dal Coronavirus.
Era il 2 febbraio 2020 quando ho acquistato online le prime mascherine FFP3. Allora le mascherine venivano vendute con la specifica “ANTIPOLVERE con classe di protezione FFP3” ovvero “Per polveri” o anche nelle dizioni più complete “Mascherina respiratoria certificata contro particelle, fumo, aerosol o polvere” o addirittura ed impropriamente “Maschera antigas”.
Le parole Covid, Virus, Sars-CoV-2, oppure COronaVIrusDesease, erano ancora totalmente assenti nelle indicazioni dei siti web con inserzionate mascherine anche se, come noto, il 31 dicembre 2019 la Commissione Sanitaria Municipale di Wuhan (Cina) aveva già segnalato all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) un cluster di casi di polmonite a eziologia ignota nella città di Wuhan, nella provincia cinese di Hubei. Nella conferenza stampa, destinata a rimanere tristemente nota, della China’s National Health Commission viene confermata la nascita di una nuova malattia virale che si trasmette da uomo a uomo e che verrà identificata con il nome di COVID-19.
Nessuno avrebbe immaginato quello che sarebbe accaduto di lì a poche settimane quando il virus, che viene battezzato con il nome Sars-Cov-2, inizia a diffondersi nel mondo causando la più grande pandemia dell’era moderna dopo quella dell’influenza spagnola del 1918 che contagiò mezzo miliardo di persone, uccidendone 50 milioni (e probabilmente molte di più).
Anche se erano stati identificati a fine gennaio 2020 due casi di Coronavirus in turisti cinesi in visita a Roma, solo il 21 febbraio viene identificato in Italia, a Codogno, quello che sarà definito il “paziente zero”. Diversi focolai si sviluppano nel Nord Italia a Vo’ Euganeo e nella provincia di Bergamo e nel giro di pochi giorni i casi confermati diventano centinaia. Per contrastare la diffusione dei contagi viene decretato il primo lockdown nel nostro Paese a partire da domenica 8 marzo.
La diffusione del virus è ormai fuori controllo e l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiara ufficialmente lo stato di pandemia. Il direttore dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesu dichiara: “Nelle ultime due settimane il numero di casi di COVID-19 al di fuori della Cina è aumentato di 13 volte e il numero di paesi colpiti è triplicato, ci sono più di 118.000 casi in 114 paesi e 4.291 persone hanno perso la vita. Altre migliaia stanno lottando per la propria vita negli ospedali. Nei giorni e nelle settimane a venire, prevediamo che il numero di casi, il numero di decessi e il numero di paesi colpiti aumenteranno ancora di più. L’OMS ha valutato questo focolaio 24 ore su 24 e siamo profondamente preoccupati sia dai livelli allarmanti di diffusione e gravità, sia dai livelli allarmanti di inazione. Abbiamo quindi valutato che COVID-19 può essere caratterizzato come una pandemia”.
I dati di quel lontano 8 marzo, diffusi dal Ministero della salute erano i seguenti:

Facevano impressione i 366 decessi raggiunti in pochi giorni ed era preoccupante il numero della sola Lombardia che si attestava a 267, ben il 73% del totale Italia. L’indice di mortalità rispetto al numero dei Casi era molto elevato e pari al 5% a livello nazionale e al 6,4% in Lombardia.
La pandemia a distanza di più di un anno – e dopo tre “ondate”- continua a mietere vittime in tutto il mondo. Anche l’Italia ha subito le pesanti conseguenze della diffusione del Covid-19 che ha interessato tutto il territorio nazionale, isole comprese.
I dati del Ministero della salute al 3 Maggio 2021 (dopo 421 giorni dall’8 Marzo 2020) sono i seguenti:

In questo periodo abbiamo registrato in media 288 Decessi al giorno su un valore medio di 9.604 nuovi casi giornalieri, con una incidenza quindi della mortalità del 3%, ancora troppo elevato per dire che siamo fuori dall’emergenza.
Per fortuna “la corsa verso il vaccino” comincia a dare i suoi frutti e le campagne di somministrazione nei vari Paesi contribuiscono ad allentare la morsa del virus. Ma se qualche battaglia viene vinta su questo fronte, siamo ancora lontani dal vincere la guerra, resa più insidiosa dall’arrivo delle cosiddette “varianti” che si moltiplicano e rendono comunque pericolosa la diffusione del Covid-19.
Purtroppo sembra proprio che non riusciremo a liberarci presto di questo nuovo virus ed insieme alla necessità di vaccinazioni periodiche dovremo mantenere le buone regole anti contagio, prima tra tutte l’uso della mascherina.
Solo la Cina ne produce 200 milioni al giorno; gli Usa ne vogliono 3,5 miliardi, l’Italia 130 milioni al mese, ed è nata “l’industria della mascherina”, con un fatturato anno su anno di +200%, una produzione di +300% ed un raddoppio dei dipendenti e dei collaboratori che operano nel settore.
Che fine fanno/faranno tutte queste mascherine ? Già appaiono nella loro importanza i problemi di natura ambientale per il corretto smaltimento di una tale quantità di “nuovi inquinanti” perché, la maggior parte di esse sono in poliestere o polipropilene e, non essendo un prodotto riciclabile, richiedono/richiederebbero uno smaltimento speciale e non soltanto nell’”indifferenziata”.
Peraltro non tutte le mascherine sono ugualmente utili contro il Coronavirus e solo quelle certificate DPI FFP2 o FFP3 garantiscono una protezione efficace per se stessi e per gli altri, mentre le cosiddette chirurgiche, o peggio ancora quelle di stoffa sono utili solo per bloccare il virus contenuto nelle goccioline respiratorie sospese nell’aria ma non garantiscono una Sicurezza totale.

In ogni caso le mascherine da sole non mettono al riparo dai rischi di contagio se non sono indossate correttamente esplicando la funzione per la quale sono state concepite. Inoltre se l’uso della mascherina non viene accompagnato dal distanziamento e dalle misure di sanificazione personale ed ambientale con i vari presidi come l’Amuchina, la soluzione acquosa al 75% di Alcool etilico, il perossido di idrogeno (acqua ossigenata) allo 0,5%, ed in particolari situazioni guanti in nitrile ed indumenti protettivi, ecc. il rischio di rimanere infettati dal virus è cogente.
Rimane il fatto che fintanto che non saremo tutti vaccinati contro il Covid 19 la mascherina va sempre utilizzata/indossata correttamente (su naso e bocca) realizzando in tal modo una protezione attiva e passiva e quindi tutelando se stessi e gli altri anche in considerazione del fatto che neanche il vaccino garantisce l’immunità al 100% e ci sono casi di persone vaccinate che si sono infettate, così come casi di malati che pur essendo guariti dalla malattia si sono nuovamente infettati nonostante la carica anticorpale sviluppata.
Vediamole quindi queste mascherine che sono ormai diventate parte della nostra giornata, nelle attività lavorative e di svago, al chiuso e all’aperto. Ce n’è per tutti i gusti, per tutte le tasche, per tutte le occasioni e gli esempi che seguono sono solo una minima parte di quelli che si potrebbero fare, senza limiti alla fantasia.

Possiamo cominciare dalla “più diffusa” che è sicuramente la classica mascherina chirurgica che, come detto in precedenza, non offre tutte le garanzie di protezione necessarie. Spesso per offrire maggiore efficacia viene indossata sovrapponendone più di una; è sicuramente diventata un oggetto familiare che portiamo in tasca, in borsa, che teniamo nella scrivania ed in macchina, una delle prime cose che indossiamo la mattina ed una delle ultime che riponiamo andando a riposare.
Passando dalla più semplice alla più “accessoriata”, possiamo ad esempio trovare il modello con funzione streaming audio ad alta fedeltà tramite Bluetooth, microfono con riduzione o cancellazione attiva del rumore, possibilità di ricevere messaggi audio attraverso auricolari, fornita di batterie ricaricabili agli ioni di litio ultraleggere, filtri HEPA con ventilazione attiva, luci e spie LED, pulsanti di controllo delle varie funzioni, resistente all’acqua e al vento. Chissà se serve un corso di formazione per il corretto uso ?


Sul fronte “innovativo” non mancano certo le realizzazioni e, dato il grande sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, accompagnate da una buona dose di fantasia e di design, assisteremo a sempre nuove realizzazioni che potranno soddisfare i desideri dei più tecno-fanatici o tecno-entusiasti che dir si voglia.
Per i più attenti alle esigenze ambientali e di smaltimento troviamo la mascherina riciclabile, lavabile e sanificabile “all’infinito”, con la sola necessità di sostituire periodicamente il filtro interno in versione FFP2 o FFP3 secondo le esigenze, senza il quale viene a mancare la funzione protettiva più importante.


C’è poi la mascherina “di Paperon de Paperoni” tempestata con 3.040 diamanti con taglio brillante, per un totale di 73,27 carati. Creata dai gioiellieri in maglia d’oro bianco 18 carati, simula l’ordito di un tessuto e non può certamente passare inosservata. La mascherina pesa 156,9 grammi ed il costo è proibitivo: 250 mila dollari.
Per passare come si dice “dalle stelle alle stalle” non possiamo dimenticare che non tutti possono spendere la cifra di cui sopra e devono accontentarsi di qualcosa di più sobrio, cercando di salvaguardare a meglio la funzione protettiva.


In entrambe questi ultimi due esempi rimangono dubbi circa l’effettiva capacità di filtraggio e di protezione dal virus. Dubbi che non possiamo non avere per tutti i “modelli improvvisati o fai da te che, pur apprezzando la buona volontà e la fantasia, non possono convincere sulla loro bontà.
Così come non possono garantire adeguata protezione le cosiddette “Eating Mask” quelle mascherine cioè che sono state pensate per indossarle solo sul naso mentre si mangia del cibo o si bevono bevande. Certo, direte voi, meglio che niente ! Ai posteri l’ardua sentenza.


Dalla semplicità alla complessità non c’è che l’imbarazzo della scelta ed ecco un esempio della fantasia umana che, anche in fatto di mascherine, non conosce limiti. In questo caso gli “aspetti tecnici” sembrerebbero salvaguardati mentre sulla praticità è giustificato nutrire qualche dubbio. Magari ad una festa di carnevale una mascherina simile farebbe il suo effetto ma direi che è del tutto sconsigliabile indossarla in ufficio o in Chiesa e forse, invece di un acquisto simile, sarebbe più opportuno devolvere in beneficienza il denaro necessario. Meriterebbe a mio avviso comunque il premio per la mascherina più elaborata.


Non darei invece un premio alla “mascherina virtuale” che va bene per comparire sulla stampa e per farci una risata sopra, ma potrebbe indurre comportamenti diseducativi in una materia che invece è molto seria visto che riguarda la nostra salute e quella dei nostri cari, già messa a dura prova da numerosi “negazionisti”.
Se però vogliamo proprio “alleggerire” l’argomento, vi propongo una carrellata puramente esemplificativa di “mascherine special” e che accompagnerei con un breve commento scherzoso per ognuna di esse: la prima per proteggere l‘abitacolo della propria auto dall’ingresso del virus, la seconda, di derivazione automobilistica, per sfruttare il filtro dell’aria in caso di “emergenza mascherina” e la terza per chi sostiene che è meglio “berci su” con una sorsata di buona birra (in essa contenuta con possibilità di refill).



Dopo “il serio e il faceto” sento tuttavia il bisogno di ricordare a me stesso e a tutti che il rischio più grande che corre l’umanità non è sicuramente quello legato al Coronavirus, per il quale abbiamo già messo a punto i vaccini e potremo vaccinare tutta la popolazione in tempi accettabili, bensì quello AMBIENTALE per il quale non riusciamo ancora a trovare i “vaccini” adeguati e le cui conseguenze nel medio lungo termine potrebbero essere disastrose ed irreversibili.
Ma che c’entra l’ambiente con il Covid ? È presto detto. Come visto in precedenza, utilizziamo/consumiamo ed utilizzeremo/consumeremo miliardi di mascherine che nella stragrande maggioranza sono prodotti non riciclabili e quindi altamente inquinanti. Secondo uno studio del Dipartimento per l’ambiente marino del Servizio sanitario pubblico federale del Belgio, una mascherina chirurgica impiega ben 450 anni per decomporsi e viste le quantità in gioco la “minaccia” è incombente considerando anche il fatto che “rifiuti inquinanti del Covid” sono anche i guanti monouso, i camici usa e getta ed i contenitori di gel disinfettante anche essi prodotti in “quantità industriale”. Il rischio è quello di andare ad “alimentare” la Great Pacific Garbage Patch (nota anche come “Grande Isola di Plastica del Pacifico”) la cui estensione non è nota con precisione ma che, secondo le stime, va da 700.000 km² fino a più di 10 milioni di km² (cioè da un’area più grande della Penisola Iberica a un’area più estesa della superficie degli Stati Uniti), ovvero tra lo 0,41% e il 5,6% dell’intero Oceano Pacifico.
… E NON VI BASTA ?

Il pericolo è quindi che le mascherine finiscano per diventare onnipresenti nell’ambiente, come avverte Joffrey Peltier di OMP (Opération Mer Propre) e “sarà l’inquinamento del futuro se non viene fatto nulla. Presto correremo il rischio di trovare più maschere che meduse nel Mediterraneo”, ha aggiunto Laurent Lombard di OMP.
A dimostrazione che le mascherine sono ormai diventate parte della nostra vita, non potevo chiudere questo articolo senza un riferimento anche alla mascherina della squadra che si è appena aggiudicata lo scudetto di Campione d’Italia e cioè l’Inter nero-azzurra, mascherina peraltro “indispensabile” in luoghi come gli stadi durante le partite di calcio o altre manifestazioni dove il rischio di contagio è “latente” per la grande quantità di persone che condividono la passione per uno sport che crea le maggiori emozioni anche grazie al grande numero di tifosi del pubblico.
TAKE CARE!
