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C’è la pandemia, e so a che santo votarmi

Non sappiamo ancora quando si svolgerà la edizione 2021 degli IgNobel, ma sospettiamo di aver trovato un possibile candidato per il conferimento dello scherzoso riconoscimento.

Tra i tanti effetti della pandemia di COVID-19, uno dei più positivi è stato quello di rendere partecipe la pubblica opinione dei sistemi attraverso i quali la comunità scientifica valuta e pubblica gli studi prodotti dai suoi membri.

È infatti cognizione abbastanza comune che la validità e la credibilità di uno studio scientifico siano una funzione della credibilità della rivista sulla quale lo stesso viene pubblicato. In ambito scientifico, infatti, differentemente dal dominio delle opinioni, non vale il principio di autorità, ma quello della dimostrazione. Ciascun nuovo assunto razionale viene infatti sottoposto allo scrutinio incrociato da parte di esperti dello stesso ramo, secondo il meccanismo noto come peer review, o revisione tra pari.

Questo processo di esame è tanto più severo, quanto maggiore è il prestigio acquisito dalla rivista scientifica nel corso degli anni. Ogni giornale scientifico, infatti, è classificato secondo un indice denominato Impact Factor (IF), il quale, detto in forma molto semplificata, è tanto più alto, quanto più è elevato il valore degli articoli pubblicati nel tempo sulle sue pagine. Da questo ne consegue, ovviamente, che le riviste caratterizzate da un IF molto basso o addirittura inesistente, hanno un valore trascurabile nella costruzione della conoscenza scientifica.

L’antimateria delle riviste più prestigiose, come ad esempio Nature (IF=42,78) e Science (IF=41,84), è costituita ovviamente da una pletora di pubblicazioni di basso e bassissimo livello, le quali pubblicano gli articoli non sulla base del loro valore scientifico, ma in ossequio a precise logiche editoriali, o addirittura a pagamento. Si tratta della tristemente nota piaga delle cosiddette riviste predatorie, il cui unico fine non è l’avanzamento della conoscenza scientifica, ma l’autosostentamento.

Gli articoli scientifici di scarso valore, che si occupano di aspetti trascurabili o persino risibili della scienza, hanno conquistato in anni recenti un premio apposito: si tratta del cosiddetto premio IgNobel, il cui nome, richiamandosi scherzosamente al celeberrimo premio Nobel, si riferisce agli studi più ignobili pubblicati nell’anno di riferimento.

Solo a titolo di esempio, nel 2020 sono stati premiati con l’IgNobel uno studio psicologico secondo il quale i narcisisti si riconoscerebbero dalle sopracciglia, un altro sulla determinazione di cosa succede alla forma di un verme vivo quando lo si fa vibrare ad alte frequenze, uno sul subappalto seriale di un omicidio, ed un altro sugli entomologi spaventati dai ragni.

Non sappiamo ancora quando si svolgerà la edizione 2021 degli IgNobel, ma sospettiamo di aver trovato un possibile candidato per il conferimento dello scherzoso riconoscimento. In un articolo pubblicato il 1° maggio scorso su Ethics, Medicine and Public Health, due studiosi italiani ed uno francese hanno esaminato attraverso una survey su Facebook a quale Santo ci si voti nel corso di una pandemia.

Gli autori hanno studiato un campione di 1.158 adulti che hanno risposto all’apposita domanda proposta via social media, stilando poi una classifica dei santi maggiormente utilizzati in senso apotropaico per scongiurare l’infezione. Al top di tale classifica svetta Santa Rita da Cascia, con 558 voti, pari a più della metà del campione esaminato. Secondo con distacco si classifica San Rocco, con 268 voti.

Gli autori discutono i risultati argomentando che Santa Rita è invocata in quanto avvocata delle cause perse. Da un punto di vista psicologico, gli autori deducono che tale primato “rifletta chiaramente la natura pessimistica e fatalistica dell’attuale situazione, e la mancanza di credito accordata all’ offerta terapeutica contro il COVID-19”. San Rocco, invece, è citato dagli autori come Santo specializzato in epidemie. Originario di Montpellier, dove gli è stata dedicata la cattedrale principale della città, deve il suo stato di Santo all’aver bloccato un’epidemia nel corso di un suo pellegrinaggio verso Roma.

Nelle conclusioni dello studio, gli autori deducono che in presenza di una pandemia i cattolici continuano ad affidare le proprie speranze al divino, specie in tempi di uno stress globale, apparso all’improvviso, e che ha cambiato le abitudini delle persone. Essi deducono inoltre che l’invocazione di particolari santi sia condizionata da molti fattori tra cui “una buona conoscenza della tradizione cattolica, l’associazione linguistica, e in comportamenti personali”.

Fedeli al motto di scherzare con i fanti, ma di lasciar stare i santi, non esprimiamo giudizi di merito sulla validità delle invocazioni. Non possiamo però esimerci da suggerire agli organizzatori del premio IgNobel quello che a nostro parere è un fortissimo candidato nella sezione dedicata alla Medicina.

Ah, l’Impact Factor di Ethics, Medicine and Public Health è 0,2.

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