
Al viaggiatore virtuale che decidesse di esporre sulla sua pagina Facebook l’articolo del New York Post di Isabel Vincent del 10 Aprile dal titolo “All’interno delle eccessive spese immobiliari, del valore di milioni di dollari ,di Patrisse Khan-Cullors, co-fondatrice del BLM”, l’algoritmo Facebookiano riserva un chiaro ed inequivocabile messaggio. Ci rifiutiamo di postare il tuo link. Qui non c’è nulla da vedere. Continua a camminare.
L’articolo discute l’acquisto da parte della Khan-Cullors, di svariate proprietà immobiliari per un valore totale di 3.4 milioni di dollari.
Tra le proprietà riportate, un “custom ranch” in Conveyers, Georgia, adagiato su 3.2 acri, con hangar privato e pista adiacente accessibile con rampa privata, in grado di accomodare piccoli aerei da turismo.
L’ultima acquisizione, da parte della donna che si auto definisce una “militante Marxista”, riguarda un immobile in Topanga Canyon, una comunità di lusso a nord ovest di Santa Monica in California popolata secondo l’ultimo censo da un 82.3% di bianchi e 1.64% di afroamericani, acquistato per 1.4 milioni di dollari.
Alle critiche che acquisti esosi come questo esporrebbero una mancanza di coerenza con la sua adesione ai principi Marxisti e alla promozione dei diritti umani in favore della razza di colore, la Khan-Cullors risponde che il capitale investito nelle proprietà in questione, è in supporto della sua famiglia e della comunità di colore, anche se il come e in che misura non appare molto chiaro.
Durante una recente intervista rilasciata a Mark Lamont, per Black News Tonight ,l’attivista motiva infatti la sua coerenza con i principi del Manifest der Kommunistischen Partei e dell’Official Black Lives Matter Manifesto alla luce dell’acquisto di case di lusso in quartieri esclusivi a predominanza razziale bianca, puntualizzando che le proprietà sono state acquistate perché “mantengo un figlio, un fratello disabile e mia madre”.
In contrasto, le motivazioni alla base della decisione di Facebook di non consentire la pubblicazione dell’articolo in questione, non sono troppo velate. In una dichiarazione del direttivo della piattaforma sociale statunitense si apprende infatti che: “L’articolo condivide svariati dettagli che potrebbero identificare la residenza di una delle fondatrici del movimento BLM, violando il suo diritto alla privacy”.

Bizzarra presa di posizione, considerato che:
1- Informazioni relative al domicilio di chiunque sono perfettamente legali in USA e rintracciabili con una certa facilità al ritmo di una ricerca rapida su Google.
2- Facebook storicamente non sembra dedicare grandi sforzi o risorse alla protezione della privacy dei suoi membri. In verità una bella fetta del suo fatturato proviene dal fare esattamente l’opposto.
La Khan-Cullors continua la sua difesa sull’acquisizione dell’impero immobiliare ribadendo che il suo investimento non è stato finanziato effettuando prelievi sulle donazioni dei benefattori a BLM. Il Black Lives Matter Global Network Foundation (BLMGNF) ha fatturato 90 milioni di dollari nel 2020, donando circa un quarto del capitale a capitoli ed organizzazioni locali. La donna però non fa menzione del fatto che il network in realtà comprende diverse organizzazioni, alcune delle quali sono for-profit ovvero a scopo di lucro.
Tali organizzazioni, non sono dunque tenute a rendere pubblici né gli incassi né tantomeno l’ammontare di buste paga e bonus indirizzati ai loro top executives.
Spazientita la donna ribadisce che “Il fatto che i media di destra stiano creando questa isteria intorno ai miei acquisti è francamente razzista e sessista”.
Rappresentanti del network BLM hanno rilasciato dichiarazioni in sua difesa, puntualizzando che questo continuo riportare informazioni relative alle sue proprietà “perpetua la tradizione di terrore dei suprematisti bianchi contro gli attivisti di colore”.
La risposta alla quale risulta difficile resistere è a sua volta politicamente e culturalmente corretta quanto razzialmente e sessualmente inclusiva.
Ca’ nisciun* è fess*