CITTADINI & UTENTI

Ora vi spiego come la privacy ostacola la vita in pandemia

In tempi di lockdown la privacy può farci sentire più soli, sostengono alcuni, forse un data breach per venir contattati da qualcuno ci farebbe sentire meglio?

Premessa: questo articolo è in parte clicbait (direi un 10%) e per lo più un tentativo di risposta ironica a chi, per ignoranza o malafede, ancora accusa la “privacy” (ovverosia: la normativa in materia di protezione dei dati personali) di essere ostacolo alla gestione dell’emergenza pandemica.

Vediamo in rassegna i motivi più comuni per cui la tutela della privacy può rappresentare e rappresenta un ostacolo per la vita di un cittadino nella pandemia da COVID-19, impedendogli di vivere alcuni momenti peculiari soprattutto all’interno di un contesto emergenziale.

La privacy rovina l’effetto sorpresa.

Perché assicurare una continuità operativa? Non è meglio che le prenotazioni diventino un adrenalinico clic-day, con tanto di timeout e crash? O che l’interrogazione del proprio certificato verde faccia provare quel senso di attesa dell’esito di una scommessa nel momento in cui l’utente non viene riconosciuto o non si riesce a pescare il QR code, magari in occasione di controlli o di un accesso?

Corollario: vogliamo mettere poi l’entusiasmo di andare a conferire i dati in assenza di informativa? Ricorda l’estrazione della lotteria o la pesca della sagra, contesti che purtroppo ora ci sono negati dal contesto pandemico. Si può fantasticare non solo su chi abbia le nostre registrazioni di dati personali, ma anche sul tempo per cui sarà interessato a tenerle con sé e le modalità di impiego che potrà attuare seguendo l’ispirazione del momento.

Insomma: tutte le passioni del gambler possono trovare facile appagamento al costo di qualche dato personale.

La privacy ci fa sentire più soli.

Sappiamo che in lockdown è difficile avere contatti e nuove amicizie. Cosa c’è di meglio di un data breach per far sapere qualcosa di noi (altro che le app o i social di appuntamenti!) e magari venire contattati da qualcuno interessato a noi, sebbene limitatamente all’esperimento di un tentativo di phishing?

Si dice che alcuni, per superare la solitudine, consultino la cartella spam o lascino aperta qualche porta sul router, per un appuntamento al buio 4.0.

Inoltre, poter vedere i dati personali esposti pubblicamente, comporta il beneficio di sentire appagato un desiderio di voyeurismo (se la diffusione riguarda dati di altre persone) o di esibizionismo (se la diffusione riguarda i propri dati).

La privacy definisce le responsabilità.

Un malizioso potrebbe pensare che la responsabilità stia ad alcuni ruoli come la kryptonite sta a Superman. E a pensar male si fa peccato, ma raramente si sbaglia.

Ma questa diffusa ossessione nel dover individuare puntualmente ruoli e responsabilità all’interno di una filiera di trattamento dei dati personali va a compromettere quell’ineffabile serenità con cui le attività sui dati personali sono condotte, dai vertici fino agli operatori. 

Vogliamo davvero andare a turbare i vari Titiro ebbri di digitalità e strumenti, ricordando loro che devono organizzarsi per svolgere responsabilmente le operazioni sui dati e rendicontare il proprio operato?

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