
Il decreto-legge 22 aprile n. 52 introduce la c.d. “certificazione verde COVID-19”, ovverosia una certificazione comprovante la conclusione del ciclo di vaccinazione, l’avvenuta guarigione o il risultato negativo di un test molecolare o antigenico in relazione al COVID-19, la cui emissione e validazione digitale saranno attuate tramite una piattaforma nazionale dedicata.
L’ipotesi è infatti che il caricamento del QR code avverrà per mezzo di un’app nazionale, e il ministro Colao propone a tale riguardo Immuni o IO, ma molte regioni hanno già assunto autonome iniziative di sviluppo. Dopo un anno dalla prima narrazione di Immuni, ancora una volta si ripetono le criticità di un’affrettata digitalizzazione.
La soluzione nazionale centralizzata dovrà rispettare le indicazioni di un futuro decreto attraverso cui saranno stabilite “le specifiche tecniche per assicurare l’interoperabilità delle certificazioni verdi Covid-19 e la piattaforma nazionale per il DGC, nonché tra questa e le analoghe piattaforme istituite negli altri Stati membri dell’Unione europea, tramite il Gateway europeo”.
La scommessa nazionale, che cita la possibilità di un reimpiego di Immuni dopo il flop, lascia non poco perplessi dal momento che si tratterebbe di funzioni ulteriori e non coerenti con il progetto di sviluppo dell’app e, soprattutto, propone nuovamente una serie di legittimi dubbi circa la tutela della libertà di impiego dell’app. Insomma: fino a che punto si può spingere la moral suasion di salute pubblica?
Un anno fa scrivevamo di orizzonti poco confortanti ventilando la possibilità di iniziative private per regolamentare l’accesso al negozio a chi abbia scaricato l’app. Il fatto che tali iniziative possano ora essere declinate attraverso un diaframma istituzionale non solleva ma anzi, pone l’esigenza di individuare e adottare presidi efficaci a tutela e protezione dei diritti del cittadino digitale.
Nell’immediato, è già infatti possibile rilevare alcuni problemi.
Se sarà impiegata Immuni per il caricamento del QR code, si auspica che l’utente possa disattivare ogni funzione non necessaria ad esibire la certificazione verde. Se invece sarà impiegata l’app IO, in che modo sarà garantita la continuità operativa del servizio dal momento che un ritardo nell’accesso al proprio QR code potrebbe rendere impossibile l’accesso ad un evento, ad un locale o anche uno spostamento fra regioni?
Dove sono le evidenze circa i percorsi di corretto sviluppo di queste app, al di là di una narrazione entusiasta dell’ennesima novità digitale, svolta tanto a livello locale che nazionale? In assenza di un approccio di progettualità, i connotati sono quelli di una “scommessa” di digitalizzazione. Con tutti i rischi del caso.