
Lo scorso giugno la Repubblica Popolare Cinese ha adottato la Legge sulla Sicurezza Nazionale. Tale novità normativa è stata introdotta al fine di colpire chiunque ponga in essere atti di sovversione, secessione, terrorismo e collusione con le forze straniere.
Fin da subito è stato fatto notare dai paesi occidentali, che l’hanno fermamente condannata, come la stessa porti con sé il rischio di esser utilizzata arbitrariamente quale strumento politico in mano al regime di Xi Jinping.
La preoccupazione è quella che essa permetta un controllo politico-penale del dissenso diretto a reprimere i dissidenti ed i manifestanti delle proteste iniziate nel marzo del 2019 e mai sopite.
Di recente la Legge è stata pubblicamente condannata anche dal Parlamento Europeo, attraverso una Risoluzione con la quale si chiedeva l’immediato rilascio dei parlamentari e degli attivisti per i diritti umani coinvolti nelle proteste ad Hong Kong contro la suddetta Legge, opponendosi, tra le altre cose, alla ratifica dell’accordo commerciale concluso dalla Commissione Europea con i rappresentanti di Pechino, fortemente sponsorizzato dal governo tedesco.
Venerdì 16 aprile il Tribunale di West Kowloon ha condannato Jimmy Lai, editore indipendente di due giornali, la rivista Next Magazine ed il quotidiano Apple Daily, e altre nove persone tra attivisti e parlamentari di Hong Kong. Le pene, comprese tra 8 e 18 mesi di reclusione, sono stati comminate per la partecipazione alle manifestazioni, peraltro pacifiche, che il 18 e 31 agosto 2019 si sono tenute nell’ex colonia britannica.
Sebbene il giudice, Amanda Jane Woodcock, nelle motivazioni della sentenza abbia voluto rimarcare come la marcia fosse stata premeditata per sfidare l’Autorità e che le pene siano state tutto sommato leggere, considerando che la Legge sulla Sicurezza Nazionale prevede la reclusione fino a cinque anni di reclusione, la pronuncia è stata criticata da numerose organizzazioni per la tutela dei diritti umani.
In primis, dal momento che è stato previsto che la sanzione si possa applicare non soltanto nei casi in cui l’individuo “supportato” sia presente sul territorio cinese, ma anche nell’ipotesi in cui lo stesso si trovi all’estero. Di non minore rilevanza il fatto che la norma è stata applicata in via retroattiva, dal momento che i fatti contestati risalgono al 2019 mentre la normativa è stata promulgata soltanto nel giugno del 2020.
Amnesty International ha condannato con parole forti la sentenza, affermando che “l’ingiusto processo, e la condanna di questi 10 attivisti sottolinea l’intenzione del governo di Hong Kong di eliminare ogni opposizione politica nella città” e rimarcando come il tutto si sia svolto in palese contrasto con quello che è stabilito dal Diritto Internazionale.