
Un robot che impara il miglior posizionamento dei suoi sensori. È questa la novità che verrà presentata alla Conferenza Internazionale della IEEE sulla Soft Robotica, che si terrà nel mese di aprile e che sarà pubblicata sulla rivista IEEE Robotics and Automaton Letters. Gli studenti PhD del MIT Amini e Spielberg, insieme al PhD Chin e ai professori Matusik e Rus, hanno infatti elaborato un algoritmo di deep learning finalizzato ad ottenere un posizionamento ottimale dei sensori installati su un soft robot.
I soft robot sono robot ispirati alla biologia, perché dotati di una struttura elastica che gli conferisce infiniti gradi di libertà. L’avanzamento tecnologico della robotica sta naturalmente spingendo a configurazioni strutturali di questo tipo, capaci di accedere in spazi stretti e di garantire un’interazione sicura con l’ambiente che li circonda e gli esseri umani. Via quindi le gabbie che li imprigionano per garantire che nessuno si faccia male e benvenuta manifattura collaborativa, parte fondamentale della più volte evocata rivoluzione industriale cui si dà il nome di industria 4.0. Il comparto industriale in verità non è l’unico a giovarsi delle caratteristiche non convenzionali dei soft-robot. I campi di applicazione sono vari e vasti e vanno dall’ispezione e manutenzione, alla chirurgia minimamente invasiva, alla riabilitazione robotica e non solo.
Per poter ben operare in ciascuno di questi ambiti è necessario che anche la soft robotica, che per diversi aspetti è ancora di frontiera, tenga ben presente tutto ciò che la robotica tradizionale porta con sé. Per prima cosa un robot, per poter portare a termine i compiti assegnati, deve conoscere in ogni istante la posizione di ciascuno dei suoi elementi. È questo il modo attraverso il quale il robot riesce a riconoscere il suo stato, così da poter determinare quali siano le azioni da intraprendere per portarsi in uno stato desiderato.
Qui nasce il problema. Ogni parte di un soft robot si può deformare in infiniti modi e quindi il sistema di controllo che lo equipaggia dovrebbe essere in grado di registrare infinite possibili deformazioni degli infiniti punti che lo costituiscono. Ancor più importante, per tracciare i cambiamenti di stato di infiniti punti servirebbero infiniti sensori. In passato per by-passare questo problema sono state impiegate delle telecamere esterne per mappare la posizione istantanea del robot, restituendo questa informazione in feedback all’algoritmo di controllo.
Risolvere il problema del posizionamento dei sensori senza aggirarlo sembra far piombare in un vicolo cieco ma, come spesso accade, la soluzione di un grande problema è richiamare gli insegnamenti degli antichi. Il “divide et impera”, che la tradizione attribuisce a Filippo il Macedone, si combina in un’inattesa unione con i più recenti ritrovati delle tecniche di deep learning per fornire la soluzione dell’enigma.
Per prima cosa la struttura robotica viene divisa in aree, chiamate particelle. Di ciascuna di queste particelle viene misurato il tasso di deformazione, che viene poi fornito in input ad una rete neurale. Attraverso un processo di trial and error la rete neurale, predisposta dal gruppo di ricerca, apprende quale sia la sequenza più efficiente di movimenti per portare a termine un compito e, allo stesso tempo, quali particelle siano state più sollecitate. Ripetendo più volte il processo si può determinare una mappa che classifica le particelle sulla base degli sforzi cui sono state sottoposte, e scarta quelle meno usate dalla lista delle candidate ad ospitare un sensore. Ecco dunque che si riesce ad ottenere un’indicazione precisa sui punti di posizionamento dei sensori.
L’algoritmo è stato più volte testato e messo in competizione con esperti ingegneri robotici. A questi ultimi è stato chiesto di scegliere quali sarebbero stati i punti in cui avrebbero piazzato i sensori e le loro scelte sono state comparate a quelle della rete neurale. Le scelte operate sono risultate molto diverse da quella ottima calcolata. Mentre gli ingegneri hanno scelto sulla base dell’esperienza, l’algoritmo ha scelto sulla base di dati prelevati direttamente dal sistema fisico, un evidente vantaggio competitivo per la rete neurale.
Per la quantità di applicazioni pratiche prima richiamate l’impatto per l’immediato di questa ricerca è stupefacente, una vera pietra miliare nello sviluppo tecnologico della robotica.