
Jacopo Ierussi, avvocato giuslavorista e presidente di Assoinfluencer, Associazione Italiana Influencer, ha curato il progetto di costituire una realtà di tipo associativo per promuovere l’attività professionale degli “influencer” e valorizzare queste nuove figure sempre più diffuse nel panorama del web 4.0, ed ha recentemente ottenuto il riconoscimento da parte del Ministero dello Sviluppo Economico per essere inserita nell’elenco previsto dalla L. 4/2013.
Si è reso disponibile per un’intervista al fine di spiegare meglio i punti salienti del percorso posto in essere e le prospettive future.
Che cosa ha portato all’idea di Assoinfluencer?
Difficile individuare l’esatto momento in cui Assoinfluencer ha trovato la sua genesi. Forse l’intuizione è partita da un post di Rudy Bandiera su LinkedIn o davanti ad un video di Andrea Galeazzi o Le Coliche su Youtube. In quanto appassionato di lungo corso di nuove tecnologie, Impresa 4.0 e sport elettronici, ho avuto sempre l’idea di avvicinare il mondo, talvolta fin troppo statico, delle relazioni industriali a nuovi ambiti privi di una regolamentazione specifica. A quel punto gli influencer sono la categoria che mi è venuta in mente parlandone con mia moglie Valentina, collega nell’avvocatura e attuale Vicepresidente di Assoinfluencer. Direi che è proprio da lì che è iniziato questo percorso in salita.
Come mai in salita? Quali sono le principali criticità nel mondo delle influencer?
Di base manca una regolamentazione che aiuti questo ecosistema a crescere prevedendo obblighi di trasparenza per i soggetti coinvolti, a beneficio di professionisti, aziende e utenti digitali. Certo: esistono il vademecum e gli orientamenti dell’Antitrust, ma non sono sufficienti. Faccio una carrellata di esempi. La categoria non ha ad oggi un codice ATECO di riferimento specifico e i contratti collettivi nazionali del lavoro non prevedono clausole per i Brand Ambassador. Non esiste un tariffario riconosciuto, e l’assenza di criteri per la determinazione dei compensi si sconta in un mercato selvaggio in cui i micro influencer sono spesso e volentieri svantaggiati. Manca un codice etico condiviso, e agli occhi della collettività “poche mele marce guastano l’intero cesto”.
Ritenete necessario un “controllo di qualità” degli influencer?
La parola “controllo” personalmente non mi piace perché non rende l’idea di quel che vogliamo fare. Nel mondo dell’entertainment la qualità dell’opera degli artisti parla per loro, e ben regolamenta quel settore di mercato. Mancano però alcuni strumenti per certificare professionalità e competenza tecnica di questa categoria, dato che il numero dei follower non è un parametro sufficiente. Insomma: più che un organismo di controllo serve un ente terzo che certifichi, accrediti e comprovi la professionalità della categoria perché sia rappresentata e tutelata in sede istituzionale. E qui entra in azione Assoinfluencer.
Quali sono le qualità indispensabili per essere un influencer?
In generale: capacità di comunicazione e conoscenza della materia che si va a trattare. Dopodiché, dipende dal tipo di influencer. In alcuni ambiti specifici è necessario essere al passo con i tempi e mantenersi costantemente aggiornati. I “Green Influencer” dovranno ad esempio essere continuamente aggiornati sui temi della sostenibilità ambientale. Per i content creator, specie quelli comici, conta la capacità di reiventarsi nonché quella di creare sinergie e collaborazioni.
Secondo voi, dovrebbe esistere un percorso formativo per gli influencer?
Non ritengo debbano essere obbligatori, ma al momento non esistono percorsi di formazione e di accreditamento dedicati alla categoria degli influencer. Così come un attore non ha alcun obbligo di formazione e se vuole può comunque scegliere di studiare all’Università o frequentare una scuola di teatro, anche per gli influencer dovrebbe esistere un’opzione simile.
Insomma: sarebbe auspicabile una “scuola” per influencer?
Esatto. Non è sufficiente mettersi davanti ad una webcam e registrare per diventare uno streamer di successo così come non basta acquistare un microfono per diventare uno speaker radiofonico. Di sicuro uno smartphone non fa di te un instagrammer professionista come una reflex non ti trasforma in un fotografo. Noi abbiamo siglato un protocollo d’intesa con un dipartimento dell’Università La Sapienza di Roma proprio perché crediamo sia possibile introdurre un cambiamento sotto questo profilo. Siamo i primi in Italia a poter rilasciare attestati professionali per gli influencer, ma immaginiamo in un possibile futuro anche dei percorsi di laurea che vedano nel proprio programma lo studio, a titolo esemplificativo, di materie giuridiche, economico-finanziarie, statistiche e sociologiche.
La vostra “squadra comando” ha qualche influencer al suo interno?
Certamente. La nostra squadra comprende Ludovica Russotti (in arte @capocciara) che oltre ad essere “Head Event & Contest Strategist” è anche una micro influencer. Siamo stati testimoni dell’impegno che richiede questo percorso professionale anche seguendo la sua esperienza personale.
Voglio uno spoiler: cosa bolle in pentola per il futuro?
Vogliamo che la categoria raggiunga il suo apice entrando definitivamente nel mondo delle relazioni industriali tramite la collaborazione con una piattaforma sindacale di caratura nazionale. Abbiamo in parte già raggiunto l’obiettivo aderendo a Confassociazioni, ma siamo ambiziosi e vogliamo assicurare alla categoria degli influencer la migliore copertura in termini di lobby e rappresentanza. Puntiamo ad essere una voce per quanti riescono a parlare al mondo senza però riuscire a farsi ascoltare dai Palazzi che contano.