
Il fatto che questa pandemia è stata scatenata dalla mobilità globale delle persone potrebbe farci concludere che, almeno in quest’ottica, la globalizzazione sia negativa. In realtà la questione è un po’ più complicata di così.
La Globalizzazione è un fenomeno non nuovo: si tratta di un aumento del flusso di merci, servizi, capitali e persone che attraversano le frontiere in tutto il mondo. La scoperta dell’America generò un effetto di questo genere, e così l’attività della Compagnia delle Indie che fu una Corporation ante litteram.
È opinione condivisa che la Globalizzazione moderna ha il suo inizio nel 1989, con la caduta del muro di Berlino. La dissoluzione dell’Unione Sovietica pose fine alla divisione tra Est e Ovest che fino ad allora aveva strettamente condizionato i rapporti economici e politici tra Stati. Il Prof. Tremonti, ex Ministro dell’economia, individua nel 1994 un’altra data fondamentale per il processo di globalizzazione. In quell’anno fu creato il World Trade Organization. Si crea così il mondo aperto al mercato e con l’entrata nel WTO della Cina nel 2001, si completa l’opera. Il WTO è per intenderci l’organismo che ha bocciato la richiesta di India e Sudafrica di sospendere temporaneamente i brevetti dei vaccini per combattere efficacemente, a livello mondiale, il Covid-19
La ricchezza non viene più contenuta nei confini nazionali e non è più rappresentata da un pezzo di carta legato all’oro. Diventa un segnale elettronico. Ma ancora di più possiamo dire che diventa fine a sé stessa.
Un tempo quando si acquistava un barile di Petrolio o un container di merci, si generavano intorno a questa attività altre tre o quattro operazioni finanziarie, che servivano a proteggere l’acquirente o il venditore ad esempio dalle fluttuazioni del cambio; si chiamavano “edge”. Oggi gli “edge” si sono moltiplicati a dismisura e sono diventati pura speculazione. Se mi assicuro contro l’incendio dell’abitazione in cui vivo faccio un’operazione “sana”; se stipulo un “edge” sul fatto che la casa del vicino andrà a fuoco, sto facendo una operazione puramente speculativa. E di questo tipo di attività la finanza mondiale si è riempita a dismisura.
Oggi il PIL mondiale è valutato circa 85 Trilioni di dollari. Il valore dei soli derivati (opzioni, futures, swap) ammontano a circa 33 volte il Pil mondiale. Ma se consideriamo tutte le altre transazioni, includendo quelle sommerse andiamo su cifre che sono difficilmente comprensibili: 1400 quadrilioni di dollari.
Sono vere e proprie scommesse che si svolgono in un mercato privo di regole e che sottraggono capitali e risorse all’economia reale.
Due scelte legislative operate da Clinton negli anni 90 conferirono piena legittimità a questa Las Vegas della finanza: la prima riguardava proprio i derivati e la seconda fu l’abolizione dell’antica legge di Roosevelt, “Glass Steagall Act”, che cancellò la sana divisione tra banche commerciali e banche d’affari.
Nonostante la crisi del 2008 nessun regolamento è stato introdotto e se qualche tentativo fu fatto, come ad esempio la “Volcker rule”, ben presto tali leggi furono cancellate o fortemente ridimensionate.
Eppure la globalizzazione è stata difesa a spada tratta da eminenti personaggi che sono riusciti a veicolare l’idea che non vi sia alternativa a questo modo di intendere il nuovo mondo. Da Robert Rubin (Ministro del tesoro Americano 1995- 1999) che vedeva la globalizzazione come unico sistema per estirpare la povertà dai Paesi più poveri e garantire la prosperità ai Paesi più industrializzati. Oppure Kofi Annan, a capo delle Nazioni Unite nello stesso periodo che diceva che opporsi alla globalizzazione era come combattere la legge di gravità.
Eppure dopo 30 anni di questo sistema i numeri mostrano qualche cosa che vale la pena di sottolineare.
La crescita del Pil per persona nel mondo era del 2,6% tra il 1955-80, ma solo del 1,3 tra il 1980-2000 e 1,4% tra 1980-2016.
I dati mostrano che siamo sì cresciuti, ma che forse saremmo potuti crescere di più con il vecchio sistema. Inoltre deregolamentare il mercato quanto ci è costato in termini di inquinamento, perdita dei diritti dei lavoratori, disuguaglianza e distruzione dell’ascensore sociale?
La tecnologia in sé non può essere vista da sola come una irresistibile spinta all’abbattimento di tutte le barriere. Tra il 1870 e il 1914, in cui la tecnologia dominante era dovuta alle macchine a vapore ed il telegrafo, avevamo una società più globalizzata che non negli anni 60 dove il progresso tecnologico fu pure imponente.
La risposta al problema va ricercata probabilmente nelle regole che devono essere reinserite in un mercato selvaggio, scollegato dalla vita reale, e dove le risorse dovrebbero essere incanalate, pur nel rispetto del profitto, in un circuito virtuoso.
L’importante è che non passi il concetto che nulla può essere fatto per modificare lo status quo. Perché non è vero.