SALUTE

Il punto sulla pandemia in Italia

Ad un anno dai primi casi, il virus non perde la sua pericolosità: diverse regioni nuovamente verso lo stato di zona rossa

In queste ore sta maturando la scelta di ripristinare per alcune regioni lo stato di zona rossa, e di mantenere quello di zona arancione scuro per altre regioni di uguale importanza in termini di popolazione.

Come ormai puntualmente succede ogni volta che provvedimenti delle autorità governative e regionali vanno a limitare la libertà di movimento e di lavoro dei cittadini, è nuovamente partita la discussione circa la legittimità di tali provvedimenti, e soprattutto se essi siano fondati su una solida base scientifica.

Alcuni casi sono particolarmente significativi, come quello della Campania, la quale ha esplicitamente chiesto di essere posta in zona rossa. Tale scelta ha ovviamente raccolto reazioni esasperate soprattutto da quella parte di cittadini che nell’ultimo anno ha maggiormente sofferto in termini economici e sociali. Probabilmente, è proprio il rischio di reazioni popolari che induce altre regioni, come ad esempio la Lombardia, a non avere lo stesso atteggiamento, sebbene i numeri le collochino naturalmente in una fascia di pericolo elevato.

Senza entrare ulteriormente in quelle che sono le scelte locali e nelle loro conseguenze di ordine politico, economico e sociale, proviamo a dare una spiegazione dei dati rilasciati il 5 marzo dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), la massima autorità scientifica del paese in materia di salute.

In primo luogo, per valutare in maniera appropriata lo stato della pandemia in Italia, è necessario fare chiarezza sulla natura dei dati cui si fa riferimento per prendere decisioni. Essi sono infatti di due tipi: dati sincronici e dati diacronici. I primi sono quelli rilevati e comunicati giornalmente dagli operatori sanitari, e fanno riferimento a misure puntuali quali il numero di nuovi casi diagnosticati, il numero di nuove ospedalizzazioni, il numero di ricoverati in terapia intensiva ed il numero di decessi. I secondi sono invece riconducibili al famigerato indice Rt, il quale, a causa delle modalità di calcolo utilizzate per comporlo, si riferisce sempre ad un periodo distante almeno una settimana dal giorno in cui viene calcolato.

I dati sincronici ci danno informazioni circa il grado istantaneo di gravità della pandemia. In questo senso, non è tanto significativo il numero di nuovi casi, il quale è funzione del numero di tamponi effettuati, quanto gli altri parametri di sopra citati. È intuitivo che il rialzo del numero di nuove ospedalizzazioni, specie in terapia intensiva, ed il numero di decessi, indicano l’aumento della gravità clinica dell’infezione. In altre parole, una crescita in questi parametri ci dice quanto seria sia la situazione dal punto di vista della gestione della macchina sanitaria e della sua efficienza nel trattare i casi che richiedono ospedalizzazione.

Il dato diacronico dell’indice Rt, invece, ci fornisce informazioni riguardo la capacità di espansione della patologia. Un indice Rt uguale ad 1 vuol dire che ciascun portatore del virus (sia esso sintomatico o asintomatico) ha la capacità di infettare una persona. Un indice inferiore ad 1 vuol dire invece che la probabilità che un individuo infetto trasmetta il virus ad un’altra persona è più bassa. Idealmente, quindi, l’indice RT dovrebbe restare sotto uno per indicare che l’epidemia è in rallentamento. Indici uguali o superiori ad uno indicano invece che l’epidemia è in espansione.

Secondo quanto riportato dall’ISS, tutti i parametri sincronici In Italia sono in espansione, a riprova del fatto che la gravità dell’epidemia aumenta. Di fatto, aumenta prospetticamente anche la sua capacità di espansione. Non va infatti dimenticato che i dati di nuove ospedalizzazioni, nuovi casi in terapia intensiva e decessi sono degli indicatori indiretti della quantità effettiva di casi presenti sul territorio nazionale. L’andamento di tali parametri dovrebbe essere quindi considerato come prioritario nel giudicare lo stato generale dell’epidemia e prendere le decisioni del caso. Questo, naturalmente, non su base giornaliera, ma sulla base dell’andamento di ogni singolo parametro in un congruo periodo di tempo variabile da una settimana a 15 giorni. L’indice Rt va invece considerato come un parametro accessorio, che ci aiuta a giudicare in maniera retrospettiva quanto sta accadendo.

I dati dell’ISS indicano che nella settimana 22-28 febbraio dopo un periodo di crescita si osserva una netta accelerazione nell’aumento dell’incidenza a livello nazionale rispetto alla settimana precedente (194,87 vs 145,16 per 100.000 abitanti). Come conseguenza, il sistema di tracciamento dei casi, critico per il contenimento dell’epidemia, è impossibilitato a funzionare, dato che richiederebbe un numero di casi cinque volte minore. Come detto, questo dato da solo non è sufficiente a indicare un aumento della gravità clinica.

Il tasso di occupazione in terapia intensiva a livello nazionale è complessivamente in aumento (26% vs 24% della scorsa settimana) ed il numero di persone ricoverate in aree mediche è in aumento, passando da 18.295 a 19.570 in una settimana. Come abbiamo detto, questo dato è molto importante, perché oltre a fornirci una valutazione diretta della gravità clinica dell’epidemia, ci fornisce anche una misura indiretta del numero di nuovi casi, che ne è una funzione.

Nel periodo 10 – 23 febbraio, infine, l’Rt medio calcolato sui casi sintomatici è stato pari a 1,06 in aumento rispetto alla settimana precedente e sopra 1 per la prima volta in sette settimane. Sebbene, come abbiamo detto, questo sia un parametro di valutazione ex post della situazione, relativamente utile per prendere decisioni, deve essere osservato che è in incremento, coerentemente a quanto avviene per i parametri diretti.

Va naturalmente tenuto conto del fatto che i dati di cui sopra sono le medie nazionali, e che a livello regionale ci sono delle situazioni ampiamente differenziate. Va allo stesso modo detto, tuttavia, che la misura degli indici diretti mostra una situazione critica in molte delle regioni classificate come arancione o rosse, come evidenziato dalle misure dirette di occupazione delle terapie intensive.

In buona sostanza, sebbene le misure di chiusura siano largamente impopolari, e lo sfinimento psicologico ed economico galoppi ormai dappertutto, è necessario dare ancora una volta preminenza ai tentativi di gestione di una situazione che ad un anno dai primi casi mantiene intatta la sua pericolosità.

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