
La Nasa non si adagia sugli allori… raggiunto Marte con Perseverance, inizia già a fantasticare su ipotetici sottomarini spaziali con i quali scandagliare i fondali fuori dall’ordinario che caratterizzano il piccolo corpo roccioso orbitante nei pressi degli anelli di Saturno, Titano.
La Terra non è certo un unicum quanto a presenza di materia allo stato liquido, e si dà il caso che, nonostante le distanze siderali che li separano, l’unico altro pianeta che presenta tale caratteristica sia proprio questo piccolo satellite –piccolo si fa per dire, dato che supera per dimensioni anche Mercurio- che, a maggior ragione, seppur atipico, ha molto più a che vedere con la Terra rispetto agli altri pianeti rocciosi.
Le sue distese sono scavate da mari, fiumi e laghi, scalfite da piogge ed eventi atmosferici non dissimili da quelli terrestri…la sostanziale ed emozionante differenza: non piove acqua, bensì benzina.
Il divario estetico tra questi due cugini alla lontana non sussiste tanto nel landscape, nei fondali o nelle dimensioni che, sotto questo punto di vista, la rendono di fatto una Terra in scala ridotta, quanto nella composizione chimica della materia che ospita, che le donano un colorito decisamente più tenue e spento… il materiale idrocarburico scivola come neve e viene modellato in dune dai venti di azoto, i fiumi scavano canyon attraverso montagne di fuliggine ghiacciata e strati di ghiaccio galleggiano sugli oceani sotterranei di ammoniaca, tutto questo ad una temperatura superficiale media di −179 °C. Un fango chimico che gli astronomi, con atteggiamento ottimistico, chiamano “prebiotico” si insinua infine sotto un opprimente cielo marrone.
Chiaramente un ambiente invivibile, unica luna a presentare un’atmosfera, e pure piuttosto densa come quella terrestre, ma costituita quasi interamente da azoto, tant’è che gli sbuffi di quello spirto ch’entro gli rugge furono notati al passaggio rocambolesco di Voyager I nel 1980 quasi come un fortuito segnale di fumo.
L’intenzione è quella di scandagliare i suoi mari, in particolare il Kraken Mare, il più grande mare di idrocarburi su Titano, contenente l’80 % dei liquidi del pianeta, e non ancora interamente misurato quanto a profondità, probabilmente superiore ai 300 metri, una profondità supportata dai prototipi di sottomarini nucleari.
Il concept di un sottomarino per la luna di Saturno faceva parte della Fase 1 di un progetto finanziato dalla NASA Innovative Advanced Concepts (NIAC) nel 2014. L’esplorazione dei fondali si baserebbe sulla mappatura attraverso sonar e spettroscopie e il prelevamento di periodici campioni sul fondo del mare, raccogliendo immagini dettagliate della costa e percependo le condizioni meteorologiche durante le emersioni, ove possibile, al fine di comprendere al meglio il ciclo idrologico del pianeta. Secondo i dati il sottomarino potrebbe esplorare oltre 3.000 km nella sua missione principale ad una velocità media di 0,3 metri al secondo, e questo grazie alla gravità di Titano inferiore a quella terrestre e al metano del mare che, meno denso dell’acqua, gli permetterebbe di avventurarsi più in profondità senza essere schiacciato dalla pressione diversamente da un oceano terrestre di acqua salata.
Eppure le tempistiche sono molto dilatate… è improbabile che accada prima della prossima estate di Titano, intorno al 2047. Solo allora ci sarà una luce ambientale sufficiente e il sottomarino potrebbe presumibilmente comunicare su una linea diretta con la Terra senza bisogno di una radio orbitante.
Ciononostante la NASA ha recentemente annunciato che lancerà un drone chiamato Dragonfly sulla luna di Saturno nel 2026 e in merito sono circolate anche proposte per una sonda galleggiante in grado di sguazzare in un lago o persino un sottomarino robotico.
Indipendentemente da come andranno le cose, gli scienziati continueranno a vedere in Titano un grande laboratorio che ospita processi avvenuti anche sul nostro pianeta ma di cui si erano completamente perse le tracce, processi che potrebbero aggiungere tasselli importanti al misterioso puzzle della vita.