
In un articolo pubblicato esattamente un anno fa, quando la pandemia di COVID-19 era ancora ai suoi inizi, abbiamo evidenziato come l’isolamento forzato fosse un’occasione irripetibile, per i knowledge workers, di liberarsi finalmente dalle ultime pastoie ottocentesche legate alla necessità di lavorare in presenza.
Abbiamo osservato, in particolare, che tutti coloro i quali svolgevano un lavoro che nascesse e si esaurisse all’interno di un computer, erano i primi candidati a trasformare la propria giornata lavorativa da un tran-tran aggravato da faticose sessioni di commuting da casa all’ufficio e viceversa, ad un qualcosa che fosse più coerente con le possibilità offerte dalla tecnologia del XXI secolo.
Il lavoro in presenza ha infatti un senso solo quando chi lo svolge debba direttamente intervenire su oggetti fisici o su persone, come avviene per la maggior parte dei lavori manifatturieri, o legati alla sfera dell’assistenza personale.
In un articolo successivo, abbiamo poi notato come, a fronte di tale opportunità, esistessero in Italia un impianto normativo ed una serie di resistenze culturali che di fatto impedivano l’emersione del nuovo modello di lavoro, le cui componenti tecnologiche e umane erano tutte presenti.
Passata la breve pausa estiva, in cui ci si è illusi che tutto fosse un brutto sogno e si potesse ritornare alla vecchia normalità, ci si è dovuti abituare a considerare le condizioni lavorative dettate dall’emergenza come una nuova normalità. Vale a dire come uno scenario di lunghezza indefinita, in cui il nuovo mondo fatto di call di lavoro una dietro l’altra, di occupazione degli spazi casalinghi con mezzi lavorativi di fortuna, la distruzione del confine tra personale e lavorativo, l’aumento vertiginoso dello stress, è diventata una condizione comune.
Come in tutti i processi di cambiamento, le cose iniziano a cambiare anche rispetto al New Normal. Le aziende e i lavoratori prendono atto che nella nuova modalità lavorativa ci sono notevoli opportunità per entrambi, ed iniziano a darsi delle regole. Dal New Normal, in cui il lavoro a distanza diventa una condizione accettata, ma sempre con una punta di emergenzialità e di disagio, si passa al Next Normal. Una nuova realtà in cui, esaurita la fase di transizione, si rendono strutturali i cambiamenti e non si considera più di poter tornare al vecchio modello organizzativo.
Una delle prime a fare di questo approccio una propria bandiera è stata Bayer, nota multinazionale farmaceutica tedesca di antica tradizione. In un articolo comparso su Il Sole 24Ore, la responsabile delle risorse umane Maria Luisa Sartore ha spiegato le regole e le opportunità del nuovo modello organizzativo. La prestazione lavorativa – aspetto comune a tutti i knowledge workers – viene legata all’ottenimento dei risultati e non alla presenza durante un orario di lavoro rigido.
Al fine di facilitare la transizione verso il modello distribuito di operatività, l’azienda tedesca ha stretto un accordo con i sindacati per fornire ai propri dipendenti una serie di oggetti funzionali allo svolgimento della prestazione, come schermi suppletivi rispetto a quello del laptop, una sedia ergonomica, e buoni pasto per compensare la non fruizione della mensa. Restano invece a carico del lavoratore le spese relative alla corrente elettrica e alla connessione internet.
Si tratta di una situazione davvero win-win, in cui l’azienda economizza sui costi di struttura e su quelli operativi, e i lavoratori risparmiano le spese di viaggio, conseguendo inoltre il vantaggio di non dover più attraversare la città per sedersi davanti a quello stesso computer che comunque viaggia avanti e indietro con loro. Da non trascurare anche i vantaggi in termini di produttività da un lato, e qualità della vita dall’altro. L’azienda beneficia della maggiore tranquillità dei dipendenti, che per definizione non sono più in ritardo, né devono correre a prendere un treno a fine giornata. Dall’altro, i lavoratori si organizzano secondo obiettivi, a tutto vantaggio dell’emersione dei migliori e dei più efficienti.
Come il processo classico di change management ci insegna, nell’adozione del modello di lavoro distribuito e per obiettivi, abbiamo in buona sostanza superato la fase di “storming” e siamo in piena fase normativa, in cui i partecipanti al processo concordano le regole da seguire. Come correttamente fatto in Bayer, infatti, è necessario temperare il tutto con accortezze che mantengano il lavoratore sereno ed efficiente. L’inserimento di pause tra una call e l’altra, la disconnessione concordata, sono aspetti che, nell’interesse comune di azienda e dipendente, contribuiscono a mantenere quella freschezza mentale e motivazione tanto necessarie a chi svolga compiti che richiedono attenzione al dettaglio, efficienza, creatività e flessibilità.
Il settore farmaceutico è in questo senso innovatore nell’abbracciare una differente cultura del lavoro, la quale certamente va considerata come il nuovo paradigma dei nostri tempi e ci costringerà a riscrivere i manuali di organizzazione aziendale e di management.