
La “variante inglese”, o più precisamente SARS-CoV-2 VOC 202012/01, lineage B.1.1.7, è definita per la presenza di numerose mutazioni nella proteina virale S o Spike e da mutazioni in altre regioni del genoma del virus.
Questa forma ha una maggiore capacità di diffondersi e infettare, tanto che la variante si è sostituita progressivamente al ceppo cinese originario arrivato da Wuhan e considerato come selvatico o wild type. Rispetto a questo, con la variante inglese l’indice di contagiosità è incrementato tra il 30% e il 50%
La maggiore contagiosità congestiona ulteriormente il nostro Sistema Santario, già prossimo al collasso.
Ad oggi, oltre il 30% delle infezioni Covid in Italia è dovuto alla variante inglese. Il dato è stato fornito dagli esperti dell’Istituto superiore di Sanità e del Cts con il premier Mario Draghi. Secondo gli scienziati, verso la metà di marzo la variante sarà predominante in tutto il Paese.
Una recentissima serie di lavori [1, 2, 3], sebbene non siano ancora dati peer reviewed, conferma, sia per il vaccino Pfizer-BioNTech sia per quello di Oxford-AstraZeneca, un’elevata capacità nel ridurre i casi di Covid-19 lievi, quelli che necessitano di ricovero e quelli gravi.
Questi risultati provengono dall’osservazione di una coorte di più di 1,3 milioni di scozzesi vaccinati e un campione totale della popolazione complessiva, pari a 5,4 milioni di individui.
In dettaglio, nello studio della Public Health Scotland linkato sopra si legge di una riduzione dell’85% di ricoveri per Covid-19 nel caso del vaccino Pfizer-BioNTech e del 94% per il vaccino Oxford-AstraZeneca.
Prendendo in considerazione ambedue i vaccini, le ospedalizzazioni nel gruppo di persone over 80 in media sono calate dell’81%.
Anche secondo questi rapporti preliminari, entrambi i vaccini dimostrano di essere efficaci anche contro la cosiddetta variante inglese.