
Traduzione e adattamento di Andrea Aparo von Flüe.
Versione originale di Geoffrey Woodling.
La proposta della Fondazione Ugo La Malfa, sul piano italiano di utilizzo del Next Generation EU, ha sostenuto che l’Italia deve evitare gli errori economici del passato che hanno privilegiato i consumi agli investimenti, a scapito della sua crescita economica, se vuole impiegare con successo i fondi UE per rivitalizzare l’economia italiana e quella della EU in generale.
Obiettivo palesemente necessario sia per realizzare la strategia economica dell’UE, sia per mettere l’Italia su una traiettoria di crescita più sostenibile.
La proposta presentata attinge alla storia per sostenere che gli investimenti sono evidentemente fondamentali per mantenere e promuovere nuove fonti di crescita economica. Va oltre, sostenendo che tali investimenti dovrebbero essere dedicati alle infrastrutture nazionali e allude al successo della ricostruzione del ponte autostradale di Genova come esempio.
Questo, inavvertitamente, suggerisce che per infrastrutture si intendono la costruzione di asset fisici, di strutture fisiche. Suggerisce anche, ipotesi particolarmente pericolosa, che tutte queste strutture debbano essere ampiamente distribuite tra regioni e province, investimenti a gravare sul bilancio pubblico.
Sta diventando sempre più chiaro che, nonostante l’enorme miglioramento dell’infrastruttura fisica in Europa, la crescita è lenta rispetto agli standard globali. La recente classifica del Financial Times delle società globali che sono aumentate di valore mostra che 36 sono in Cina e 30 negli Stati Uniti. Inoltre, la maggior parte di esse operano nel settore delle tecnologie digitali o biologiche, che dipendono più dal capitale intellettuale che dal cemento. Solo 13 aziende sono in Europa.
L’investimento in infrastrutture è sempre più intangibile. Tale investimento è più del semplice investimento in R&S, che in media ammonta al 2,4 percento del PIL, ma in Italia è solo l’1,4 per cento. Dato che può essere fuorviante perché include investimenti sia pubblici che privati. Quando si considerano software o sistemi, spesso trattati come materiali di consumo, si aggiunge un ulteriore livello di difficoltà di analisi.
Il vero investimento è promuovere il tasso di adozione di nuove opportunità economiche, che dipende sempre più dall’accesso alla conoscenza e alle informazioni. Per cogliere alcune di queste opportunità possono effettivamente essere necessarie reti fisiche, ad esempio i sistemi wireless che devono essere ampiamente distribuiti in tutta l’economia, evitando schemi locali non coordinati e casuali.
La pandemia ha reso dolorosamente chiaro quali nazioni siano riuscite a organizzare i modi più efficaci per contenere il virus. L’Italia nell’ultimo anno si è dimostrata tra le migliori. Il sistema sanitario è riuscito a farcela e gran parte del resto del mondo ha imparato dalla sua esperienza.
Certamente è stato così per il Regno Unito, che ha lottato per organizzare la sua risposta e ha subito la più grande perdita di vite umane.
Tuttavia, quel fallimento iniziale ha costretto il governo britannico a ricorrere a nuovi modi per distribuire le competenze del paese nei sistemi sanitari, vedi il sequenziamento genomico del virus, su richiesta urgente della comunità scientifica. Ciò l’ha obbligata a creare varie task force con accesso immediato ai responsabili delle decisioni politiche e ai finanziamenti.
Questi team lavorano principalmente in modo discreto, hanno identificato nuove terapie, investito nello sviluppo di vaccini e sono stati in grado di implementare la vaccinazione di massa in modo rapido ed efficiente. Nel processo è stato sorprendente notare il numero di iniziative ad hoc e test sperimentali che sono stati adottati all’interno del leviatano del NHS, il sistema sanitario nazionale.
Una risorsa vitale è stata il database nazionale dei pazienti e un’altra sono state le forti capacità di ricerca che collegano ospedali e università a società private come Deepmind, la società di AI di Alphabet a Londra.
La pandemia ha fornito un esempio in tempo reale di come il finanziamento del governo per molte diverse iniziative di ricerca abbia avuto un effetto immediato nella promozione del progresso della salute ma anche, si spera, benefici economici di lunga durata.
Almeno in questo potrebbe avere apportato un contributo valido alla teoria e alla pratica economica! Consentitemi di scherzare sul fatto che è divertente sentire l’UE definire su questo tema il Regno Unito “soggetto ad alta reattività”.
La proposta della Fondazione Ugo La Malfa è giusta quindi per sottolineare la necessità di un’autorità esecutiva forte e indipendente per pianificare ed eseguire il programma di investimenti con il finanziamento del sostegno dell’UE.
Tuttavia, è altrettanto importante garantire che vi sia la chiara individuazione delle aree dove l’investimento può rafforzare l’indubbia profondità delle risorse immateriali che l’Italia possiede.
La capacità di innovare nel business privato è stata dimostrata da tempo, ma difficilmente si può dire lo stesso del settore pubblico. È davvero tempo di garantire che la politica del “barile di maiale” – metafora anglosassone per l’appropriazione della spesa pubblica per progetti localizzati garantiti esclusivamente o principalmente per portare denaro nel distretto di un rappresentante, (in italiano clientelismo) – non determini più dove, quando e in cosa viene effettuato l’investimento post pandemia.
Tra dieci anni speriamo che i programmi di ricerca delle università pubbliche italiane siano riconosciuti come tra i più riusciti a livello globale e le imprese garantiranno che questi stimolino la crescita economica in Italia. Ancora una volta.