
Se c’è qualcosa che riesce sempre a colpirmi, oltre ai razzi alla stregua di utensili da cucina, o al pari di interpolazioni zoologiche in microgravità, probabilmente direi lo Universal Waste Management System…ma che cos’è? Una strumentazione altamente sofisticata che si porta dietro decenni di testing e implementazioni e un epiteto dalla magnificenza consona a quel che, quasi sicuramente, viene considerato il locus amoenus per eccellenza della normale routine quotidiana, insomma nientepopodimeno che la controparte spaziale di un water.
Se state sghignazzando molto probabilmente avete un senso dell’umorismo alquanto discutibile…l’evacuazione, oltre che essere un bisogno fisiologico, è un volontario e delizioso arenarsi in preda ai formicolii, un dolce naufragar nello zampillo che fino a qualche tempo fa, lassù, gli astronauti non potevano godersi adeguatamente. Si, anche io sono rimasto interdetto, non tanto per l’appropriazione illecita leopardiana, quanto nello scoprire che per un determinato lasso di tempo tale tecnologia arcana non fosse stata preventivata nel lancio, o almeno, che non annoverasse certi standard che ad oggi definiremmo inalienabili.
Ci si adatta con quel che si ha, e lo spazio è un ambiente in cui le ristrettezze e le privazioni sono di casa. In assenza di peso evacuare può risultare estremamente complesso e imprevedibile, come durante la missione dell’Apollo 10 quando qualcosa di galleggiante sfuggì dopo un bisogno.
Lo Universal Waste Management System è una strumentazione recente, una sintesi perfetta tra comfort ed efficienza, in particolar modo per l’anatomia femminile, che i precedenti prototipi avevano trascurato, più ergonomico nella minzione e dotato di un sistema di risucchio in pratici sacchetti per evitare spiacevoli inconvenienti. Viene adoperato solo da un anno sulla ISS, in cui spartisce i doveri con altre due versioni precedenti, con decenni di servizio alle spalle, situati nei moduli Zvezda e Tranquillity. Un gioiellino dal valore di 23 milioni di dollari che potrebbe venire ulteriormente perfezionato in occasione del progetto Artemis.
Tempi bui hanno però preceduto il loro arrivo, tempi in cui tale strumentazione era ancora un privilegio.
Il primo astronauta americano, Alan Shepard, fece il primo volo suborbitale di 15 minuti il 15 maggio del 1961. La durata prevista del volo non era tale per la NASA da giustificare il bisogno di servizi igienici. Sfortunatamente per Shepard, a causa dei ritardi nel lancio, furono diverse le ore che si ritrovò a passare nella capsula Mercury prima del decollo. I risultati non furono affatto piacevoli. Col tempo, durante l’era di Gemini, la NASA adottò sistemi ancora grezzi, gli astronauti urinavano nei tubi di sfiato e il contenuto veniva rilasciato nello spazio. Correva voce che qualcuno avesse montato un cartello con l’istruzione: “DO NOT FLUSH OVER FREE WORLD”.
Quando è nato il programma lunare Apollo le comodità degli astronauti erano migliorate, ma lungi dall’essere all’altezza delle comodità di casa. Neil Armstrong e Buzz Aldrin sono atterrati sulla superficie lunare quasi 51 anni fa, il 20 luglio 1969, e sono tornati sulla Terra dopo ben 195 ore. Per sopportare il viaggio senza una toilette, gli astronauti hanno dovuto urinare in un polsino roll-on e evacuare in sacchetti di stoccaggio per lo smaltimento successivo. Molti di questi pacchetti attualmente abbelliscono il paesaggio lunare. Dopo la fine delle missioni Apollo, gli ingegneri descrissero defecazione e minzione come “aspetti distruttivi dei viaggi spaziali”.
Dopo pisbags, polsini roll-on, pannolini e sedili con spugne, una toilette improvvisata fu installata sulla stazione spaziale Skylab, lanciata nel 1973. Negli anni ’80, una toilette molto più sofisticata fu installata nello Space Shuttle Orbiter e fu denominata Waste Collection System (WCS). Questo sistema utilizzava un flusso d’aria e ventole rotanti per distribuire i rifiuti solidi per lo stoccaggio in volo. Per utilizzare correttamente il WCS, gli astronauti hanno dovuto sopportare ore di addestramento. Per la minzione è stato utilizzato un tubo flessibile, ma per la defecazione è stato utilizzato un foro del diametro di circa 10 centimetri nel sedile.
Fortunatamente per gli astronauti di oggi, questo aspetto della propria routine giornaliera non risulta più essere così scocciante e difficilmente praticabile, e fin quando si continuerà a ricercare le migliori implementazioni, si spera non alla Howard Wolowitz, non potranno che dormire sonni tranquilli.