
Far valere i propri diritti nei confronti delle grandi piattaforme digitali è, spesso, estremamente difficile.
La tutela giudiziale ordinaria, infatti, presenta significative criticità operative in sé che la rendono decisamente anacronistica nell’era dell’informazione e nei confronti delle piattaforme online in generale.
Si pensi al caso di un ristorante o un albergo che è fatto oggetto di una campagna denigratoria distruttiva (il cosiddetto astroturfing distruttivo) che si articola nella condivisione di recensioni false su TripAdvisor, Booking o Google Business.
Qualunque imprenditore o operatore giuridico si scontra con un significativo vacuo di tutela su cui il Reg. UE 2019/1550, il Regolamento Platform2Business, è intervenuto per porre un corpo minimo di tutela dei diritti a favore dell’utente commerciale di carattere, per lo più, formale.
Si rende, pertanto, necessario individuare strumenti e logiche di tutela accessibili, economiche, rapide e a basso costo.
Nella logica della sburocratizzazione e dell’incentivo di politiche di risoluzione delle controversie alternative alla giurisdizione, le alternative dispute resolution, sono stati favoriti due principali tipi di rimedi: la gestione in house delle vertenze, attraverso l’intervento diretto della stessa piattaforma online e l’indicazione obbligatoria di organi di ADR, che non sono più limitati alle sole controversie in materia di consumo.
Infatti, il Regolamento Platform2Business obbliga le piattaforme digitali a implementare dei centri di gestione dei reclami interni e a fornire a consumatori e utenti commerciali la possibilità di accedere a strumenti alternativi di risoluzione delle controversie.
All’interno delle piattaforme online si è assistito alla proliferazione di rimedi di natura negoziale per tutelare i diritti dei destinatari dei servizi, utenti commerciali e non commerciali, elaborati dalle prassi commerciali degli Internet Service Provider all’interno del servizio.
È, quindi, la piattaforma online nell’ambito della propria autonomia organizzativa e contrattuale a regolare, molto spesso, i rapporti con consumatori e utenti commerciali che avvengono attraverso l’intermediario digitale e a farsi enforcer e tutore del rispetto dei diritti dei destinatari dei servizi della società dell’informazione, siano essi imprese o persone fisiche.
I termini e le condizioni generali, a cui si deve aderire in sede di attivazione del servizio e creazione dell’account utente, diventano il principale riferimento della normatività per gli utenti fruitori e un indispensabile strumento di prevenzione di eventuali controversie giudiziali.
Se è vero che il contratto produce fra le parti gli effetti della Legge, Amazon, Facebook, Google sono diventati dei veri e propri legislatori e le loro condizioni e termini sono accettati da miliardi di persone in tutto il mondo.
La self-regulation trova, altresì, espressione nel sistema di reclamo interno che è alla base dell’intero processo di organizzazione interna degli intermediari digitali e che, almeno sulla carta, è pensato per garantire un sistema di giustizia interno pronto ed efficace e veloce a tutti gli utenti del servizio, per risolvere in breve tempo le principali problematiche operative comuni.
I cybermediary diventano, quindi, oltre che legislatori anche giudici in Rete del bene e del male?
A ben vedere, la gestione delle vertenze attraverso il sistema di reclamo pare più assimilabile a un procedimento amministrativo, posto che è possibile ricorrere attraverso il reclamo all’autorità giudiziaria o adire strumenti di alternative dispute resolution.
Questi strumenti affidano a un terzo, diverso da un giudice, la decisione del caso. A seconda che la controversia azionata riguardi un rapporto P2B o un rapporto di consumo, verrà azionato uno strumento differente. Nel contesto dei servizi della società dell’informazione, cruciale è la tutela privata offerta dai sistemi di ODR (Online Dispute Resolution) per le vertenze con i consumatori e di mediazione P2B per le controversie fra piattaforme e utenti commerciali.
Più specificatamente, se la vertenza riguarda un rapporto di consumo la disciplina di riferimento è quella delle ODR (Online Dispute Resolution), Regolamento (UE) n. 524/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, relativo alla risoluzione delle controversie online dei consumatori e che modifica il Regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE.
Se, invece, la vertenza riguarda un rapporto commerciale P2B tra utente commerciale e Internet Service Provider, si parla di mediazione che trova la propria disciplina negli articoli 12 e seguenti del Regolamento (UE) 2019/1150 del Parlamento europeo e del Consiglio che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online.
Tracciato questo quadro complesso e articolato resta oramai da chiedersi quale sia il senso, l’utilità e il ruolo della tutela giudiziale nell’era dell’informazione dove le informazioni e notizie circolano quasi istantaneamente, quando la tutela giudiziale richiede mesi se non anni.
Come si vedrà, la tutela giudiziale ha perso di centralità e non di importanza e, come ogni istituto giuridico è stata plasmata sulla base delle esigenze della società in cui si cala.