
Dopo che a luglio scorso la Procura di Milano aveva fatto perquisire dagli uomini del Nucleo Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza gli uffici della sede legale di WindTre, a Rho, ha richiesto ed ottenuto dalla gip Stefania Nobile il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta obbligatoria di oltre 21 milioni di euro – pari alla percentuale incamerata da Wind per i servizi attivati pacificamente con modalità fraudolente – quale provento delle condotte illecite a danno di migliaia di propri clienti.
Le indagini informatiche e bancarie sono state sapientemente condotte dal Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi Tecnologiche delle fiamme gialle (reparto erede dello storico GAT che acciuffò gli hacker entrati nei sistemi del Pentagono e protagonista delle più belle pagine della storia della lotta al crimine informatico). L’acume e la determinazione di “sbirri” leggendari come “36 barrato” o “Senzasugo” ha permesso approfondimenti e puntuali riscontri investigativi nei confronti della compagnia telefonica, accusata di concorso in frode informatica ai danni dei consumatori ex art. 640-ter c.p.
Sono emerse le attività illecite del gestore, reo di aver tratto profitto dai servizi telefonici a pagamento (i c.d. VAS), che gli utenti si ritrovavano, spesso inconsapevolmente, a pagare dopo che gli stessi, senza rendersene conto, erano vittime della trappola dei banner pubblicitari ingannevoli “zero click”.
Era sufficiente visitare una pagina web o aprire un’app con il proprio cellulare, disseminata di banner, per vedersi attivati i VAS; addirittura, in alcuni casi, tramite un meccanismo in grado di aggirare la procedura dei consensi da parte dei clienti, la truffa veniva applicata anche alle connessioni “machine to machine”, come quelle dei dispositivi IoT.
È emerso poi che il fenomeno non si è arrestato neppure nel corso dell’emergenza sanitaria tuttora in corso.
Come ricostruito dal gip nelle motivazioni del decreto, l’operatore telefonico non solo non ha segnalato e denunciato l’attività fraudolenta delle società di content service provider Brightmobil e Yoom, per il tramite della piattaforma di aggregazione Pure Bros, ma ne ha tratto un enorme vantaggio economico trattenendo una percentuale sugli abbonamenti attivati.
Inoltre, specifica superando le doglianze dell’operatore telco, questo sequestro non ha nulla a che vedere con il precedente sequestro di 12 milioni operato a luglio, né con la condotta riparatoria del rimborso di 20 milioni di euro ai clienti truffati ed il contestuale blocco dei servizi a pagamento – scesi da circa 40 mila ad appena 100 al giorno – dal momento che si trattava di risarcimenti per attività condotte nel 2019, dunque successive al periodo preso in esame nell’indagine che si arresta a novembre 2018.
Le indagini sono tuttora in corso e sarà interessante leggerne – speriamo presto – gli sviluppi.