
L’Italia è Il paese al mondo con la maggiore concentrazione di beni culturali e monumenti provenienti da un passato tanto lungo quanto complesso. La pervasività di queste forme d’arte e di testimonianze del passato non ha pari, e certamente la loro cura e un compito di grande difficoltà ed articolazione.
Nessuno invidia il lavoro delle Soprintendenze ai beni culturali ed ambientali, le quali hanno responsabilità sul monitoraggio e la conservazione di un amplissimo e differenziato spettro di manufatti e reperti. La legge italiana, infatti, affida loro la responsabilità di ambiti ampiamente differenziati, che vanno dai siti archeologici ai reperti paleontologici, e dai grandi monumenti di valenza internazionale, alle testimonianze minime del passato.
Esiste inoltre il problema di monitorare ed assicurare la conservazione di tutti quei beni culturali che, per retaggio familiare o acquisizione successiva, sono affidati alla cura dei privati. Non è infrequente, infatti, il caso in cui alla scomparsa dell’ultimo esponente di un’antica dinastia nobiliare faccia seguito l’abbandono ed il saccheggio delle opere architettoniche e dei beni mobili che costituivano il patrimonio familiare ed insieme una testimonianza del mondo antico.
Nel territorio campano, una delle regioni italiane a più alta concentrazione di beni culturali nell’ambito della nazione a sua volta leader mondiale della categoria, esistono numerosi esempi di questo fenomeno. Uno dei maggiormente conosciuti, e che ha avuto una felice conclusione, è quello dell’antica Reggia di caccia di Carditello, di natura e valenza simile a quella di Venaria Reale. Costruita per ordine di Ferdinando IV da un allievo di Vanvitelli, è stata per alcuni decenni oggetto di abbandono da parte del competente comune, e devastata dai vandali. Solo l’opera dei volontari del luogo, su tutti Tommaso Cestrone, ha fatto in modo che alla fine essa fosse acquisita dallo Stato ed avviata ad una nuova vita come centro di aggregazione culturale.
Meno felice è stato ad esempio il caso di Palazzo Lauro Lancellotti, antica Villa Vesuviana del Miglio d’Oro, che in seguito alla morte dell’ultima erede è stato abbandonato fino a crollare. Spaventosa, a nove anni da quando per la prima volta me ne sono occupato, rimane la situazione di Villa d’Elboeuf, la prima Villa del Miglio d’Oro in assoluto, che dopo qualche consolidamento di facciata rimane pericolosamente instabile, al punto che un suo crollo parziale ha interrotto per alcuni mesi l’adiacente linea ferroviaria.
L’ultimissimo caso di distruzione di un bene paesaggistico è di qualche giorno fa. L’ultimo arco residuo dell’antico molo borbonico della spiaggia di Santa Lucia a Napoli è andato distrutto durante una mareggiata. Era popolarmente noto come il Chiavicone (chiavica=cloaca), dato che in sua prossimità anticamente sboccava il principale canale fognario della città – all’epoca la zona era fuori le mura cittadine. Il molo del Chiavicone era un importante segno visuale della linea di costa, riconoscibile in migliaia di quadri e cartoline su un arco di tre secoli.
Come segnalato inutilmente da migliaia di cittadini e di associazioni di volontariato, esso era da tempo in bilico su un paio di massi malsicuri, e ridicolmente sostenuto da una piccola rete di tubi Innocenti, evidentemente inadeguata. Gli interventi di consolidamento sarebbero stati semplici e di costo relativamente basso, bastava solo avere la volontà politica di farlo. Forse l’approssimarsi delle elezioni cittadine, e la certezza di aver finito i propri mandati, è stato un fattore di disinteresse della attuale amministrazione, la quale non ha certo brillato per intraprendenza e tempestività nel caso specifico, nonostante si trattasse di un bene comunale.
Al di là di quali possano essere state le motivazioni per tanta incredibile inazione, restano i fatti. Chi oggi ricerchi il Chiavicone nella linea di costa di Napoli, non lo trova più. È andata smarrita per sempre una testimonianza del passato, ma soprattutto un rilevante bene paesaggistico, simbolo di continuità nei secoli dell’immagine della città.
Speriamo che lo stesso smarrimento non assalga i magistrati responsabili della Procura della Repubblica di Napoli, i quali hanno per ufficio il dovere di individuare e perseguire i responsabili di questo crollo, ai sensi degli articoli 677 (Omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina) e 733 (Danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale) del Codice Penale.
Il presente articolo vale come notifica di reato ai suddetti, cui si demanda l’azione in forza del proprio potere di autotutela.