
Gli auguri di buon anno dal Viminale? Una promessa di controlli e monitoraggi, o almeno così sembra da un’intervista alla ministra Lamorgese, la quale ribadisce che per le giornate “rosse” di Capodanno: «Abbiamo uno spiegamento di forze dell’ordine imponente e siamo molto concentrati anche sul monitoraggio della rete Internet per impedire che si affittino case dove riunirsi non rispettando le regole e il distanziamento».
Ora, per quanto sia nei poteri del Ministero degli Interni disporre e gradare tutti i controlli al fine di assicurare, in generale, il rispetto della norma e prevenire comportamenti pericolosi, annunciare un “monitoraggio della rete Internet” inquieta anche i cittadini maggiormente ligi alle regole. Il fumus che genera una comunicazione istituzionale già da tempo improntata sul tono dell’inflessibilità, fa pensare a monitoraggi su larga scala, indiscriminati e, di conseguenza, particolarmente pervasivi.
L’Autorità Garante per la protezione dei dati personali è difatti intervenuta con un sintetico comunicato stampa attraverso il quale informa di aver scritto al Viminale “auspicando che tali attività siano svolte tenendo nella dovuta considerazione i principi e la normativa in materia di dati personali”, dando così concreta attuazione al ruolo di pedagogista della privacy svolto da parte dell’autorità di controllo.
Al netto di chi assume una posizione per appartenenza politica e tifoseria, e che dunque non è una valida cartina di tornasole, il tenore di alcuni commenti sui social network rivelano, nuovamente, un diffuso stato dell’arte limitato e acerbo nell’ambito di una cultura della protezione dei dati personali.
Il commento più ricorrente è tutt’ora: “io non ho niente da nascondere, dunque non ho problemi a farmi controllare”, a cui si può facilmente replicare citando il celebre intervento di Snowden su Reddit: «Arguing that you don’t care about the right to privacy because you have nothing to hide is no different than saying you don’t care about free speech because you have nothing to say». L’assenza di una correlazione fra tutela dei dati personali e “aver qualcosa da nascondere” è, purtroppo, evidente solo a pochi “scemi” che qualcuno appellava addirittura “alfieri della privacy”, dimentico che il considerando n. 4 GDPR prevede ad esempio che il diritto alla protezione dei dati personali “va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità”.
È bene ricordare, infatti, che garantire la protezione dei dati personali comporta, a livello operativo, la correttezza delle attività svolte e una corrispondente effettività dei diritti degli interessati ai trattamenti (fra cui trasparenza, proporzionalità e adeguatezza). Inoltre, i principi e la normativa richiamati dal Garante Privacy richiedono che siano assicurate continuamente la qualità e sicurezza delle informazioni ad un livello “adeguato al rischio” al fine di prevenire danni (materiali o immateriali) nei confronti delle persone fisiche.
In conclusione, dunque, l’auspicio del Garante è più che condivisibile e bisogna andare oltre sperando che una maggiore consapevolezza della privacy pervada un po’ tutti gli ambienti (istituzionali e non) diventando così la cura ad un certo genere di ignoranza non più sostenibile a fronte degli orizzonti tecnologici che stiamo già vivendo nel nostro quotidiano.