CITTADINI & UTENTI

Fermo posta Quirinale

Lettera aperta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

Caro Presidente,

tra poche ore lei dovrà pronunciare il discorso di commiato ad uno degli anni più disgraziati della nostra Repubblica. La tenuta della nostra organizzazione statale è stata messa fortemente a rischio da una calamità mondiale, un virus che ci ha rinchiusi nelle nostre case, distaccati dal nostro lavoro, dalle amicizie, dagli affetti.

Siamo sopravvissuti fino ad ora perché, come nei momenti più oscuri della Storia del nostro Paese, sono venuti fuori i valori veri: la competenza, il coraggio, l’abnegazione dei medici, degli operatori sanitari e dei militari; di tutte quelle categorie, cioè, che mettono il compimento del proprio dovere al di sopra di qualunque considerazione personale.

Accanto a costoro, sono emersi in negativo anche tutti coloro che in condizioni di calma passano per competenti e sono magari investiti di responsabilità civili, sociali e politiche. Lei è una persona troppo esperta del mondo, della politica e della vita perché noi si debba fare un elenco di quanti hanno dimostrato in questi frangenti la propria pochezza, la propria approssimazione, la propria mancanza di qualsivoglia capacità gestionale.

La marginalizzazione della competenza a favore di un malinteso egualitarismo – che è diverso dall’uguaglianza di opportunità – è forse il cancro che maggiormente affligge la nostra nazione ormai da qualche decennio. Abbiamo riempito i posti di responsabilità con individui senza una solida formazione culturale, senza un’etica pubblica, senza una morale personale, tutte componenti fondamentali per il funzionamento di uno Stato di diritto e di una società funzionale e tesa al conseguimento del bene pubblico.

Il malsano riflesso di questa mala gestione è l’abbandono dello Stato da parte dei migliori. Chi ha una professionalità, chi ha una competenza, chi sa fare, si tiene lontano dalla politica. Chi non è un vuoto demagogo, pronto a urlare alternativamente slogan razzisti, o a sventolare rosari, o a inneggiare a ideologie di qualunque colore che nel XX secolo hanno generato morte e distruzione, o a dare voce alle più recenti e marginali trovate postmoderniste, non si trova a proprio agio in quella che dovrebbe essere la casa della coscienza civile e democratica. Ciò che è peggio è che chi per avventura vi entra animato dai migliori propositi, dopo alcuni anni lascia disgustato o vegeta in posizioni di rincalzo, senza poter incidere fattivamente.

Il mondo moderno ci richiede ben altri standard etici e capacità manageriali, rispetto a quelli che stiamo mettendo in campo. E per competere e vivere nel consesso internazionale, abbiamo bisogno di ripristinare il senso di giustizia, di equa differenziazione basata sul merito, di premio ai migliori, di rimozione degli incompetenti e di persecuzione di quanti, per dolo o per incapacità, usino impropriamente la macchina dello Stato a proprio beneficio, portando danni a terzi. Oltre a danneggiare gli individui direttamente coinvolti, questi comportamenti minano infatti alla base la fiducia dei cittadini in quella narrazione collettiva che è l’idea di Nazione, e producono individualismo e corruzione.

Pochi giorni fa, ad esempio, ci siamo occupati del calvario del colonnello della Guardia di Finanza Raffaele De Chiara, riconosciuto innocente dopo dieci anni di gogna giudiziaria e di accuse che alla prova dei fatti si sono rivelate infondate ed inconsistenti. Un ufficiale e un uomo di legge è stato accusato ingiustamente, e per questo motivo non può più svolgere la propria azione a favore dello Stato. È una vittima del dovere, non diversamente da chi sia stato gravemente ferito in servizio. 

Coloro i quali lo hanno accusato, coloro i quali hanno effettuato le indagini a suo carico, non sono entità astratte, ma hanno nomi e cognomi. Nella sua duplice veste di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura e di Comandante in Capo delle Forze Armate, lei ha tutti i poteri per chiamare a sé gli atti, esercitare la sua funzione di garante nei confronti di chi ha sbagliato, e ricompensare chi ha tanto sofferto. Lo chiediamo per incoraggiare i bravi servitori dello Stato e contemporaneamente evitare che cose del genere possano nuovamente accadere in futuro. Chiediamo, inoltre, che un uguale riconoscimento sia tributato a tutti coloro che in passato hanno dovuto vedere la propria onorabilità messa in discussione.

Se scorre l’elenco dei contributori di questa rivista, si accorgerà che molti sono uomini dello Stato nel senso più profondo della parola. Alcuni hanno giurato fedeltà alla Repubblica quando a malapena si facevano la barba. Guardiamo quindi a lei con fiducia perché eserciti la sua influenza positiva per il ripristino della competenza, del merito, della giustizia. 

In questa battaglia, ci troverà sempre al suo fianco.

Buon 2021.

Back to top button