
Nel mondo pre-digitale, i libri hanno sempre esercitato un’enorme forza propulsiva nella costruzione della cultura condivisa. Per i ragazzi in particolare, i bei racconti hanno sempre avuto un potere di fascinazione incredibile, costruendo tanta parte del loro immaginario individuale e fungendo da archetipi di riferimento quando diventavano grandi.
Ognuno di noi ne ha avuti alcuni, che considerava i propri libri dell’anima. Generazioni di adolescenti sono cresciuti sognando le spiagge straniere e le scimitarre dei personaggi di Salgari, o le storie familiari della Alcott. Altre ancora hanno imparato ad immaginare il futuro seguendo le orme dei robot di Asimov, oppure le immaginifiche avventure di Guida galattica per autostoppisti. Alcuni di essi hanno usato quelle esperienze per costruire il proprio futuro ed insieme quello dell’umanità, come Elon Musk sta facendo in questi anni.
Mi è venuto da pensare ad uno di quei libri ieri, quando nel bel mezzo di una normale mattinata di smartworking, Google ha deciso improvvisamente di non collaborare più. Mentre cercavo di capire cosa fosse successo, ed applicavo l’approccio IT tipico (chiudi la finestra, chiudi il browser, riavvia il browser, prova a riaprire la finestra), la porta dello studio si è aperta ed hanno fatto capolino in successione i miei due figli.
Come tutti i ragazzi italiani, e ad onta di qualche cialtronata che circola sul fatto che le scuole siano chiuse e si debba riaprirle perché la formazione è in pericolo, entrambi stavano serenamente seguendo le lezioni del mattino con l’approccio a distanza. Google Meet e Google Classroom avevano improvvisamente dato loro il benservito, lasciandoli in un limbo di incertezza.
Sulle loro facce si leggeva la confusione dei nativi digitali messi improvvisamente a contatto con l’impensabile: la rete non va e sono isolato dal mondo. Non posso comunicare con i miei compagni di classe. Papà, cos’hai fatto, che la rete non va più?
Un rapido check su Whatsapp li ha rassicurati sul fatto che no, il mondo non era finito, e che era solo una questione di caduta dei servizi Google.
Il sorrisone da Pinocchio che si è disegnato sui loro volti, come su quelli dell’intera scolaresca virtuale nazionale, era lo stesso di quando, arrivati a scuola, si scopriva che c’era uno sciopero dei professori o dei bidelli, o un’interruzione idrica, o un’assemblea sindacale convocata all’ultimo momento. Era un mondo romantico in cui le notizie non si sapevano immediatamente, niente telefoni che non fossero attaccati al muro, e per essere aggiornati, dovevi andare là dove si svolgeva l’azione. Era anche un mondo in cui, lasciati inopinatamente liberi dal quotidiano combattimento con le versioni di greco e di latino, non ci si attaccava alla Playstation, ma si mettevano insieme un po’ di spiccioli per comprare un Super Santos e si andava allegramente a giocare sul primo campetto disponibile.
Quel mondo si è riproposto ieri per un breve periodo, quando tutti i servizi di Google si sono resi indisponibili, facendo regredire istantaneamente il mondo di qualche decennio. La blogosfera ha immediatamente catturato il fenomeno, e si sono sprecati i memi con famosa famiglia Ingalls della Case nella prateria, per evidenziare a quale stato da pionieri fossimo precipitati.
Più che Charles Ingalls ed i suoi, la situazione mi ha richiamato alla mente il racconto Luna e gnac contenuto in Marcovaldo – o le stagioni in città, uno dei capolavori di Italo Calvino, che ha un posto speciale nella mia educazione sentimentale. L’operaio Marcovaldo, ragazzo di campagna trasferito in città, della campagna andava costantemente ricercando gli odori ed i colori, rendendosi protagonista insieme alla sua famigliola di una serie di avventure tragicomiche. In una di queste, di fronte alla sua casa viene installata la gigantesca scritta luminosa Spaak cognac, che durante la notte gli impedisce di vedere il cielo notturno.
La meraviglia è grande quando una bella sera Spaak co si guasta, e rimane solo gnac. Agli occhi di Marcovaldo e dei bambini sia apre l’infinito cielo stellato, che offre nuove prospettive di immaginazione e di sogno, rendendosi complice anche dei primi turbamenti amorosi della figliola. Il sogno però dura poco, dato che la scritta viene lestamente riparata, tagliando di nuovo fuori i sentieri tra le stelle e gli amori in boccio, e riportando Marcovaldo e i suoi alla quotidiana e grigia dimensione della città e dello sguardo corto.
Forse dovremmo sfruttare di più le occasioni di disconnessione, e prendere una pausa dall’ossessiva ricerca di informazioni, di stimoli e di interessanti banalità che intessono le nostre giornate. Il bilanciamento tra le opportunità della modernità ed il mantenimento della nostra dimensione umana sta diventando una necessità sempre più forte nei nostri tempi.
Il rischio che corriamo è infatti quello di vivere in una specie di cieco incubo kantiano, in cui il cielo stellato è sopra di me, ma il bagliore dello smartphone è davanti a me.