CITTADINI & UTENTI

Il coding? Un gioco da ragazzi

La classe quinta della scuola primaria Oton Župančič dell’Istituto comprensivo con lingua d’insegnamento slovena di Gorizia ha vinto l’edizione 2020 del premio “Scuola Digitale” con un videogioco che trae spunto dal libro “Il professor Varietà” di Luca Novelli, affrontando il tema del cambiamento climatico. I disegni, le voci narranti e la programmazione sono stati interamente creati dagli alunni grazie all’iniziativa nata con il corso di coding e informatica, da cui è derivato il videogioco “Il mago del clima”, che comprende tre minigiochi su più livelli.

La maestra Anna Roversi e la dott.ssa Sara Scarazzolo, programmatrice e rappresentante dei genitori, hanno saputo accompagnare dei bambini di 10 anni prima alla finale provinciale del 18 maggio, poi alla finale regionale dell’8 giugno e infine alle nazionali del 9 e 16 novembre. Il tutto, collegandosi dall’interno della biblioteca scolastica ed avvalendosi di un cellulare come router per il collegamento.

Entrambe si sono rese disponibili ad un’intervista per approfondire i particolari del progetto e, soprattutto, dell’idea di introdurre già nel ciclo di formazione primaria (più precisamente: dal secondo anno di elementari) un corso di informatica e coding, che facilita la comprensione del funzionamento degli algoritmi e dei comandi, alternando attività di gioco di ruolo e disegni alla lavagna con la “messa in opera” dei codici di programmazione.

Innanzitutto, complimenti. Come è stata accolta questa “vittoria” da alunni, genitori e personale scolastico?

Siamo molto entusiaste. È stata un po’ una sorpresa perché i lavori delle altre scuole in competizione erano molto validi e ben sviluppati. Gli alunni sono veramente contenti e noi insegnanti molto orgogliose di loro e del loro lavoro. I genitori ci hanno sempre fatto sentire il loro sostegno, così come il personale scolastico che ci ha dato pieno supporto.

Mi sembra che non siate nuovi a premi e riconoscimenti per il coding: è corretto?

In effetti è vero, nell’anno scolastico 2017/18, in seconda, abbiamo creato un primo videogioco bilingue dedicato a Milko Bambič, scrittore della minoranza slovena vissuto durante il fascismo a Trieste. Con questo lavoro abbiamo vinto il primo premio nazionale alle Olimpiadi di Problem Solving a Cesena. C’è stato molto entusiasmo, e ricordiamo anche un po’ di “stupore” da parte della giuria alla presentazione del gioco che comportava la simulazione fisica degli algoritmi utilizzati attraverso un “teatro del coding”.

L’anno seguente, in terza, abbiamo creato il videogioco “Il mago del clima” con il quale abbiamo vinto il secondo premio nazionale alle Olimpiadi di Problem Solving a Cesena e una menzione speciale al Romics.  

Raccontatemi un po’ di voi: come è nata e cresciuta l’idea di coltivare questi progetti e soprattutto promuovere un corso all’interno della scuola?

L’idea è nata nell’anno scolastico 2017/18 quando Sara, rappresentante dei genitori, con i suoi tre bambini aveva iniziato a sperimentare il coding a casa. Leonardo, uno dei tre, all’epoca frequentava la classe di Anna e da qui è nata l’idea di un primo esperimento a scuola, che è andato molto bene: i bambini si sono dimostrati davvero ricettivi e questo ci ha incoraggiate a proseguire. Così abbiamo iniziato con un’ora a settimana.

Prima abbiamo sviluppato il pensiero logico con dei giochi unplugged (movimenti del robot su una tovaglia a quadretti e sulla lavagna, giochi di ruolo sugli algoritmi, robottino Mind, pixel art), poi invece siamo passati alla creazione vera e propria del videogioco. I bambini hanno simulato i ruoli dei vari personaggi e provato su sé stessi gli algoritmi per poterli comprendere a fondo. Hanno disegnato gli sprite e gli sfondi e registrato le istruzioni del gioco. Alla fine, si sono messi al PC e hanno programmato il videogioco con Scratch.

Avete incontrato delle resistenze? Di che tipo? Come le avete superate?

All’inizio alcuni genitori hanno avuto dei dubbi sulla giovane età dei bambini per un progetto collegato al PC e all’informatica. Il timore era infatti che ciò potesse creare una sorte di “dipendenza” da videogiochi.

Quando abbiamo spiegato loro che avremmo iniziato con le attività unplugged e che poi avremmo spiegato ai bambini come si crea un videogioco e non come diventarne dipendenti, hanno capito le nostre buone intenzioni e non si sono opposti (neanche all’idea di mandare i propri figli di 7 anni da soli a Cesena).

Siamo dell’idea che ogni strumento possa diventare “nocivo” se non lo si sa utilizzare ed è quindi giusto insegnare a tutti fin da piccoli a gestire la tecnologia in modo responsabile e coscienzioso, anche e soprattutto in considerazione del fatto che aiuta a sviluppare il pensiero logico-matematico.

Potete dire i benefici che questa attività ha portato agli studenti?

Come abbiamo detto, i bambini hanno sviluppato il pensiero logico e le capacità analitiche di problem solving. Inoltre, hanno ampliato anche le proprie competenze sociali lavorando in gruppo e imparando a collaborare con gli altri.

In particolare, la realizzazione della grafica dei due videogiochi li ha aiutati a sviluppare la capacità di concentrarsi sui concetti chiave e di sintetizzare per immagini; inoltre hanno dovuto mettersi in gioco per presentare i propri lavori ad un pubblico variegato, formato sia da esperti che da persone completamente estranee al settore.

Quali “soft skill” hanno beneficiato dell’esperienza del corso?

Sviluppo di capacità logica, analisi e problem solving, capacità di lettura delle consegne e di ragionare secondo scadenze, capacità di formare una mappa mentale e sintetizzare i concetti chiave.

In che modo il corso ha impattato sulla “letterina a Babbo Natale”?

Sicuramente ha dato ai bambini una maggiore curiosità di sperimentare. Sappiamo che quest’anno alcuni hanno chiesto giochi di logica, robot da programmare, ma anche libri sull’ambiente e un manuale di Dungeons&Dragons.

A vostro parere: in che modo andrebbe affrontata l’educazione digitale?

La famiglia gioca il ruolo più importante in tutto ciò. Andrebbero educati anche i genitori stessi che spesso non sanno le “trappole” che si nascondono dietro a questi oggetti quasi magici. Noi a scuola possiamo solo fornire un supporto in questo processo educativo. Fin dai primi anni possiamo insegnare ai bambini a usare questi strumenti con coscienza e a non lasciarsi assuefare da essi.

Che ne pensate di fare dei “corsi di recupero” di educazione digitale per famiglie?

Sarebbe certamente una bella idea nell’ambito di una più ampia collaborazione tra scuola e famiglie.


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