
La app Immuni ha portato ai risultati attesi? Secondo il Commissario Arcuri, no, in ragione di un “messaggio non sufficientemente potente”, dal momento che l’impiego dell’app richiede un “rapporto di mutua collaborazione tra la App e chi scarica la App”.
Cosa può essere più potente del messaggio del Presidente Conte che appellava al senso civico e al dovere morale? Bisogna anche ricordare che c’è stato un anatema istituzionale poi riverberato nei media mainstream nei confronti di tutti coloro che avanzavano dubbi, perplessità o critiche sul sistema, andando ad accusare tali soggetti addirittura di negazionismo, se non di attentare alla salute pubblica.
Il problema è logico: tanto negazionista non può essere chi mette in discussione l’efficacia di un sistema di gestione del contagio, dal momento che sta valutando l’effettiva capacità dello stesso di raggiungere un obiettivo. Insomma: non discute che il problema esista, ma anzi propone il riesame della soluzione proposta in quanto la riconosce come inidonea. Alcuni hanno proposto modalità d’uso alternative, quale l’impiego dell’app per creare delle heat map e evitare o assembramenti o segnalare luoghi in cui ci sono più soggetti positivi; altri hanno posto l’accento sul problema riguardante la capacità di tamponi necessaria per gestire le segnalazioni di Immuni; altri ancora, sui lati di sicurezza e la generazione di falsi alert. E così via. Ma non sembra che tali segnalazioni, critiche o spunti di miglioramento siano stati colti né in fase di progettazione né, men che meno, nelle fasi successive.
Una volta che si è presentato l’inevitabile conto del flop, però, non c’è stata alcuna assunzione di responsabilità. Anzi, talvolta sembra quasi che si voglia ancora scaricare la colpa su una diffusa mancanza di collaborazione e scarso senso civico da parte dei cittadini.
Sembra dunque che Immuni abbia funzionato principalmente come anticorpo per le responsabilità. Nessuno dei soggetti promotori o attuatori del progetto, per quanto di pubblico dominio, sembra aver subito alcun tipo di “lavata di capo” né tantomeno si sia sentito in obbligo (morale, beninteso) di rassegnare le proprie dimissioni (da qualche incarico o task force, ad esempio).
Siamo così al paradosso di una de-responsabilizzazione digitale, che i più maliziosi commenteranno essere “l’ennesima”, mentre i più rassegnati riporteranno il pensiero del vaso di petunie che cade in Guida Galattica per autostoppisti: “Oh no, non un’altra volta!”.
Si può credere che in un progetto così importante e al centro della scena come Immuni un tracciamento delle responsabilità sia impossibile? Se non i soggetti, quanto meno siano individuate e riconosciute le cause, così da evitare il reiterarsi fallimenti analoghi e gestire un flop con un approccio di tipo lesson learned. Per l’appunto, con senso di responsabilità.