
Quando ci si occupa di Storia in maniera professionale, si impara presto che la didattica scolastica, fatta per dare dei punti di riferimento ad insegnanti e studenti, non ha in gran parte molto senso. Il divenire della vicenda umana è un processo senza soluzione di continuità, nel quale siamo tutti coinvolti come attori e comprimari, e che nell’esperienza di tutti i giorni fatichiamo a focalizzare.
Ad esempio, nei fatti non c’è mai stata una cosa come il Medioevo, epoca che copre uno spazio di tempo estremamente ampio, e mette insieme periodi culturali molto differenziati. La nascita del Medioevo è infatti legata alla necessità degli studiosi rinascimentali di definire sé stessi come propulsori di una nuova epoca della cultura umana, che andasse a riprendere il filo interrotto dopo la caduta dell’Impero Romano. Coerentemente a tale esigenza, tutto ciò che stava tra quest’ultimo e l’epoca che si autodefiniva Rinascimento, fu sbrigativamente definito “età di mezzo”, o Medioevo.
Se è vero che classificare la Storia in epoche è un esercizio molto difficile e di risultati incerti, ci sono tuttavia alcuni momenti della stessa che definiscono un’epoca e che segnano in maniera chiara e definitiva il passaggio tra un prima e un dopo. La loro particolarità è che in alcuni casi essi sono evidenti all’intera umanità, mentre in altri essi sono nascosti ai più.
Chiunque, infatti, riesce a indicare come momenti fondanti della Storia tra il XX e il XXI secolo eventi come le due guerre mondiali, lo sbarco sulla Luna, l’assassinio del presidente Kennedy, l’attentato alle Torri Gemelle di New York. E per chi seguirà la nostra epoca attuale, la pandemia di COVID-19 segnerà probabilmente il confine tra un mondo di prima e uno di dopo, a seconda di quanti e quali lezioni apprese durante questo periodo saremo in grado di mettere in pratica nei prossimi anni.
Solo pochissimi, tuttavia, avranno dedicato più che una fuggevole attenzione alla notizia della scomparsa il 7 dicembre, all’età di 97 anni, di Charles Elwood “Chuck” Yeager, il primo uomo a superare la barriera del suono a bordo del proprio aeroplano.
La sua è la storia di un ragazzo di campagna, che la vita aveva forse destinato a diventare un agricoltore come i suoi genitori. Tuttavia, le sue aspirazioni erano diverse, e nel settembre 1941, a soli 18 anni, si arruolò nell’Aeronautica Militare statunitense come meccanico di aerei. Lo scoppio della Seconda guerra mondiale dopo pochi mesi gli diede l’opportunità di diventare pilota. Da qui, la sua carriera prese letteralmente il volo, consentendogli dopo gli impegni bellici di diventare pilota collaudatore. In questa veste, il 14 ottobre 1947 volò oltre Mach 1 a bordo del Bell X-1, un aereo sperimentale dipinto di un arancione fiammeggiante e soprannominato in onore della moglie “Glamorous Glennis”, come tutti quelli su cui aveva volato in guerra. Le dimensioni dell’impresa, sufficiente di per sé a definire in senso storico un “prima” e un “dopo”, assurgono a leggenda se si pensa che due sere prima Yeager era caduto da cavallo fratturandosi due costole, e che nascose la propria condizione per evitare che qualcuno volasse al suo posto.
Nonostante l’impresa lo avesse posto nel ristretto novero dei pionieri dell’impossibile insieme a Cristoforo Colombo, Charles Lindberg e, più tardi, Yuri Gagarin e Neil Armstong, Yeager non ebbe una vita sovraesposta rispetto all’attenzione dei media, e non seguì l’evoluzione dell’aeronautica in astronautica. Quando l’era spaziale cominciò con il reclutamento degli astronauti delle missioni Mercury, rifiutò di prendervi parte a causa delle scarsissime possibilità di manovra della capsula da parte degli astronauti. Legato ad un’idea di controllo assoluto del veicolo da parte del pilota, definì i nuovi eroi dell’immaginario collettivo “Spam in a can”, letteralmente “carne in scatola”.
Lo sviluppo dei voli spaziali e in particolare l’allunaggio del 1969 portarono alla ribalta nuovi eroi come il citato Armstrong, recentemente ritratto nel film “The first man”; John Glenn – che volò sulle prime Mercury e poi stabilì il record di età per un astronauta volando in una missione Shuttle; Jim Lovell, comandante del “disastro di grande successo” Apollo 13, che finì interpretato da Tom Hanks nel blockbuster omonimo.
Le imprese di Yeager rimasero invece in sottofondo e marginalizzate, in qualche modo raccontate solo dal libro di Tom Wolfe “The right stuff” – la stoffa giusta – trasposto poi nell’omonimo film del 1983. Sono invece scomparse completamente nella serie omonima della Disney in onda in questi mesi, a favore delle vicende umane degli astronauti della Mercury.
Ora che il grande pilota dalla vista eccezionale va via, torna alla mente una frase contenuta nella sua autobiografia, in cui raccontava le emozioni del volo di collaudo: “Ho sempre avuto paura di morire, sempre”. Ma questo non gli ha mai impedito di salire sul prossimo aereo sperimentale e “battere il diavolo che vive lassù”.
Un incoraggiamento per le nostre vite, ad esprimere il coraggio al di là della paura, per vedere il prossimo orizzonte.
Godspeed, Chuck.