TECNOLOGIA

Archeologia del bit, passione dal cuore

Sebbene la storia dell’Information Technology applicata abbia solo poco più di 80 anni (ho utilizzato come data di partenza quella dei primi sistemi computazionali effettivamente in esercizio, come i grandi computer degli anni ’30 e ’40, “Atanasoff-Berry “ e “Colossus”), gli appassionati da tempo hanno avviato un vasto programma di conservazione della memoria, tenendo in vita sistemi, macchine e reti che definiamo “obsolete” utilizzando un termine che, nei confronti della Storia con la “s” maiuscola, è abbastanza incongruo.

Eppure, la velocità di crescita e sviluppo della tecnologia informatica ha compresso in pochi decenni le modalità di sviluppo e crescita di altri aspetti (naturali e non) del percorso di espansione della conoscenza.

Pensiamo allo sviluppo delle navi: anche dopo aver scoperto ed enunciato, dimostrandolo, il principio di Archimede, lo scafo delle navi è rimasto praticamente identico dalla notte della storia, con le sole variabili di materiali e studi di idrodinamica a modificare un oggetto praticamente cristallizzato nel tempo e funzionante anche prima che ne venisse enunciato il principio di funzionamento.

Chi, come me, ha approcciato l’informatica negli anni ’80, è stato immediatamente a contatto con realtà ai limiti del “magico” per l’epoca: i primi “calcolatori personali”, oggetti con capacità veramente incredibili per l’epoca, dalle dimensioni poco maggiori di una macchina da scrivere.

Personalmente, lo ZX80 (a casa di un compagno di classe) ed un’aula di informatica dotata di Olivetti M20 a scuola, mi hanno avviato alla passione e (per un bel periodo della mia vita lavorativa) anche alla professione.

Raccogliere ricordi e oggetti del passato fa parte della natura umana, ma decisamente complicato (e anche un po’ “nerd”, diciamocelo) è il mantenere in vita sistemi informatici ormai dismessi e ormai del tutto privi di utilità pratica.

Eppure, non mi sento solo in questo stato; anzi, scopro di essere un pivello assoluto, anche perché mancano tempo, spazio e conoscenza per potermi addentrare nel “retrocomputing” o “archeocomputing” che alcuni appassionati invece hanno fatto assurgere a vera scienza e, in alcuni casi, ad arte.

Mi sono imbattuto qualche giorno fa in una tra le più astruse operazioni archeologiche in campo informatico. Astrusa anche perchè, oltre ad interessare un Personal Computer IBM 5150 “della prima ora”, coniugava il DOS che veniva fatto girare su quella macchina con una memoria di massa fatta con…. un disco in vinile!

In sostanza, la traccia “audio” corrispondente al codice del kernel DOS da caricare è stata riprodotta su un disco in vinile che, collegato direttamente al PC IBM, ha consentito il boot del sistema operativo da un giradischi! Chi ha usato il Commodore VIC20 o il C64 non ha difficoltà a capire: per questi sistemi i programmi erano registrati su cassette del tutto simili alle audiocassette musicali, e caricati in memoria attraverso un’interfaccia tra il registratore ed il computer.

È solo un piccolo esempio, come lo sono le applicazioni ludiche di “musica” fatta con i floppy drive (mitica tra i molti il “Floppotron” che suona la Marcia Imperiale di Star Wars, tra le più note).

Alcune benemerite associazioni o, in alcuni casi fortunati Istituzioni, mantengono in vita macchine storiche, sistemi e server per utilizzare programmi all’epoca avveniristici o popolari: chi si ricorda la Microsoft Comic Chat (link wikipedia in lingua inglese), la prima chat IRC in formato grafico? (peraltro fonte della mai troppo vituperata presenza del font “Comic Sans MS” nelle presentazioni Power Point manageriali).

Tra essi ricordiamo il Museo degli Strumenti per il Calcolo dell’Università di Pisa (dove, in sinergia con Olivetti, nacque la prima calcolatrice elettronica italiana – la CEP – e fu sviluppato il computer ELEA), Ateneo dove, nel 1969, fu introdotto il primo corso di laurea curricolare di Informatica in Italia.

Oppure l’Associazione Archivio Storico Olivetti, che conserva la memoria di un fenomeno unico (e forse incompreso) dell’iniziativa e della visione industriale italiana.

Oppure ancora le numerosissime associazioni “amatoriali” di retrocomputing (una delle più complete ed autorevoli è https://www.computerhistory.it/) e le migliaia id appassionati che, con iniziative coordinate o solitarie, mantengono vivo un mondo che si rischia di dimenticare (vogliamo leggerci infosec.news da un’interfaccia “BBS-style”? Niente di più facile che andare su http://retrocampus.com/bbs/, selezionare la “I” di Internet nel menu, e digitare la Url di Infosec!).

E troviamo (soprattutto all’estero, questa volta) anche luoghi dimenticati, piuttosto diffusi in particolare nell’ex Unione Sovietica. È stato ritrovato, tra i “luoghi dimenticati” del vecchio regime, un “cimitero dei computer” in falce e martello, che, dopo tanti anni, ci hanno dimostrato – se ce ne fosse stato bisogno – che lo spionaggio industriale era attività fiorente negli anni della Guerra Fredda. Tra gli scheletri di armadi metallici, lettori di nastri perforati alla “Spazio 1999”, il mitico “Saratov-2”, il computer aziendale “di massa” per le aziende sovietiche del tempo, clone (=copiato!) del diffusissimo American PDP-8, il primo minicomputer commerciale di successo della storia, prodotto dalla DEC negli anni sessanta.

Todd Dailey, CC BY-SA 2.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0, via Wikimedia Commons

Inutile poi parlare del mondo del cosiddetto “retrogaming”: gli emulatori ormai consentono di portare su qualsiasi piattaforma anche i giochi più “antichi”, partendo da quelli “arcade” che si trovavano nelle sale giochi fino ai “Dungeons and Dragons” degli anni ‘90.

Nel mio piccolo, ho collaborato a raccogliere un po’ di “memorabilia” del Servizio Informatica della Guardia di Finanza, istituito nel 1954, che ha conservato con lungimiranza alcuni pezzi preziosi (ma altri ahimè ne ha sacrificati sull’altare della rigide norme sulla gestione contabile dei materiali in disuso).

Insomma, basta aver voglia di cercare. La rete non si scorda niente. Per fortuna. O purtroppo.

Buon divertimento!

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