
“COME FREGARE I PROF. IN DAD”… A smanettare un attimo nel web scopriamo un mare di tutorial che ci spiegano come farcela in questo mondo difficile che è la scuola digitalinformatizzataddistanza. Un aggiornamento, in tempo reale, del più conosciuto, analogico “COME FREGARE I PROF IN AULA”, ormai obsoleto.
Modestamente di queste cose un po’ me ne intendo perché, nel mio piccolo, sono stata una studentessa ‘modello’. Una che al terzo anno delle superiori finì il primo quadrimestre con una sola sufficienza: il sette in condotta. Guadagnato meritatamente con una serie di ‘fuori campo’ ben organizzati.
Dalle mie parti si chiamava “filone”, a Roma “sega”, in Toscana “bigiare”… solo sottigliezze linguistiche per un unico progetto: l’assenza strategica. Al termine dell’anno, il tabellone luminoso del mio personal score segnava che ero evaporata per 133 ore, pari a 26 giorni netti, di 8 mesi lordi. Niente male per una ragazzina del Liceo Classico che, nel 1980, non andava a scuola per imparare, ma per… farla franca.
Insomma, studiavo “economia culturale applicata”, ovvero, massimo risultato con il minimo sforzo. E avevo sviluppato tecniche sofisticatissime per l’epoca. Alla prima ora del lunedì c’era Fisica, come dire: purga e olio di ricino insieme. Allora entravo e mi chiudevo nel bagno e il prof mi segnava assente. Al cambio dell’ora, sgattaiolavo in aula e sul mio nome, scritto sul registro tra gli assenti, mettevo una bella R di ritardo, e il gioco era fatto. Poi, nei consigli di classe, in un semplice incrocio di dati (ah, se lo facessero pure tra dichiarazioni dei redditi e tenore di vita!) cominciò a montare il sospetto. I giorni di assenze nelle varie materie non coincidevano. Mi ‘sgamarono’, punirono e corsero ai ripari. E anche io lo feci, cambiando metodo. Sono arrivata così, con vecchi e nuovi espedienti, alla Maturità, dove in fisica venni ammessa con 3 e un’espressione di tale disprezzo, da parte del prof, che ancora me la sento appiccicata addosso, come la sabbia alla crema solare. Ma non mi feci condizionare e all’Esame riuscii comunque a far mia la versione di latino, grazie ad un compagno di fede interista come me, che me la passò arrotolandola come un origamo e inserendola al posto della mina di una Bic (e poi dicono che il calcio è uno sport da sotto acculturati!).
Ma erano altri tempi, felici, giurassici. Oggi il mondo della scuola è cambiato, è crudele, non ti insegna ad imparare come una volta. È un Grande Fratello, anzi, un Grande Genitore che controlla, segue, spia il povero virgulto di uomo, braccato dalla velocità. Lui che… se fa “filone o sega” la madre non si deve neanche sforzare di leggerglielo negli occhi, perché lo legge direttamente sul registro elettronico. Comodamente da casa grazie alla pw memorizzata con impronta digitale nei numerosi device.
Per non parlare dei voti! Una volta noi eravamo chiamati a organizzarci la cazzata da dire a tavola quando, puntuale, arrivava la feral domanda: “cosa avete fatto oggi a scuola?”; e tu, rischiando di strozzarti con un involtino al sugo (ma qualcuno li cucina ancora gli involtini al sugo!) dissimulavi e replicavi con il più naturale dei “niente, hanno solo spiegato”. È lì, in quei momenti che diventavi adulto! Quante cose imparavi in pochi istanti: una nuova mimica facciale, innanzitutto. E l’impostazione di strategie di recupero in tempi contingentati (entro il primo colloquio con il genitori) o piani di fuga da casa per le situazioni irrimediabilmente compromesse. Tutta esperienza, maturità, capacità gestionale… Ah, la scuola di una volta, quella sì che ti formava!
Oggi queste povere anime devono inventarsi i tutorial. Spiegazioni in video per le matricole della DAD: “Come leggere dal libro durante l’interrogazione (mettilo in alto e non in basso così lo sguardo è sulla webcam)”, “Come ‘frizzare’, ‘blurare’ o ‘pixellare’ l’immagine al momento opportuno (per far credere che la connessione sia saltata)”, o “Come realizzare mini filmati, dove ti stropicci gli occhi, ti soffi il naso, tossisci. Da mandare in loop, ogni 2/3 minuti, per far credere al malcapitato docente, che sei vivo e lotti con lui”. Salvo poi rischiare che, tossendo ogni 2/3 minuti, arrivi la Asl a farti un tampone Covid.
Al di là del monitor, nell’altra metà campo, invece, sono schierati i poveri “Prof”, che si muovono come Cuccureddu su Messi. Mentre un alunno frizza, l’altro pixella, un altro ancora looppa, loro, digitando con il solo indice destro (sinistro per i mancini), stanno ancora cercando di scaricare quella app A PAGAMENTO (!) che dovrebbe spiegargli come non farsi fregare dai loop, dai freez, dai pixel, dai blur.
Ma torniamo ai nostri studenti, a questi eroi moderni, queste figure mitologiche, metà felpa, metà pigiama, che meritano tutta la nostra comprensione e supporto genitoriale. Madri, padri, non dimenticate mai le poetiche parole di Papa Giovanni XXIII! E quando, chiusa la connessione con la scuola, i vostri ragazzi si incammineranno, alla velocità di un bradipo, verso la sala da pranzo per sedersi a tavola, andate loro incontro e fategli una carezza. Battetegli la mano sulla spalla e ditegli: “coraggio, non finisce qui. Vedrai che la vita ti riserverà certamente altre occasioni per crescere e diventare uomo”.
E, soprattutto, mentre lo fate non cedete alla tentazione di essere severi, evitate di dir loro quanto rimpiangeranno quegli assegni di compiti inevasi. Non anticipategli che tutte quelle lacune accumulate nel quinquennio delle superiori, si ripresenteranno, intatte, sul loro cammino di uomini e professionisti, o che capiranno troppo tardi quanto sia meraviglioso imparare insieme ad un gruppo di compagni. E soprattutto, non svelategli mai che l’esame di maturità, l’incubo degli incubi che agiterà i loro sonni dei prossimi vent’anni, una notte, non meglio precisata, sparirà per cederà il posto all’inesaudibile sogno di poter tornare indietro, a scuola, per fare qualcosa di più e meglio.
Siate umani, non ditegli tutto questo. Anche perché vi basterà alzare lo sguardo su di loro per accorgervi che hanno le cuffie in testa e neanche si sono resi conto che gli state parlando.