
Il Viminale è stato ritenuto responsabile di aver diffuso dati errati di un soggetto e di non essersi adoperato per rettificarli, nonostante le richieste dell’interessato.
La vicenda ha inizio a gennaio 2019 quando una signora ha ricevuto un ammonimento da parte del Questore per atti persecutori – il c.d. stalking – disciplinato dal codice penale all’art. 612 bis.
Il 18 febbraio successivo il Questore in questione provvedeva però a comunicare al Ministero dell’Interno, Direzione Centrale Anticrimine, ufficio “Interno Sicurezza 225/D” e, per conoscenza, al Commissariato del Governo per la Provincia di competenza, che la reclamante era stata destinataria di un diverso provvedimento. Trattasi di un ammonimento orale per condotta violenta nei confronti dell’ex fidanzato.
La signora, vendendosi destinataria di un erroneo provvedimento, il 18 giugno aveva fatto presente agli organi preposti che la predetta nota la indicava come destinataria di un provvedimento errato e chiedeva per tali ragioni la rettifica del dato errato presso tutti i destinatari della nota e presso gli archivi fisici e digitali nei quali era stata inserita, così come previsto dal Regolamento generale sulla protezione dei dati all’art. 16, laddove tra i diritti dell’interessato si prevede quello di “ottenere dal titolare del trattamento la rettifica dei dati personali inesatti che lo riguardano senza ingiustificato ritardo. Tenuto conto delle finalità del trattamento, l’interessato ha il diritto di ottenere l’integrazione dei dati personali incompleti, anche fornendo una dichiarazione integrativa”.
La richiesta, rimasta priva di riscontro, è stata nuovamente sollecitata il 1° luglio 2019, con integrazione di ulteriori richieste. La questura, sebbene a conoscenza dell’inesattezza dei dati comunicati agli altri organi di Pubblica Sicurezza, non aveva provveduto, considerando sufficiente che fossero corrette le informazioni inserite nel CED del Dipartimento della Pubblica Sicurezza.
Per tali ragioni la signora si è attivata presso il Garante della Privacy, il quale ha ritenuto che la presenza dei dati formalmente corretti nel CED del Viminale non esimeva la Questura dall’obbligo di rettificare gli erronei dati trasmessi ad altri soggetti.
La Questura difatti ha provveduto solamente una volta venuta a conoscenza del procedimento in essere presso l’Authority, a distanza di oltre un anno dalla legittima richiesta del ricorrente.
Il “ravvedimento” e la collaborazione da parte della Questura hanno però fatto sì che il Garante, nell’ordinanza di ingiunzione nei confronti del Viminale, comminasse la sanzione minima, pari a 50mila euro, ordinandogli di valutare l’opportunità di impegnarsi al fine di promuovere adeguate iniziative formative nei confronti del personale per evitare simili spiacevoli inconvenienti in futuro.