
Le guerre non si fermano. Il Covid 19 non ferma le guerre. Mentre i media italiani sono troppo presi a occuparsi del proprio ombelico e di riferire il chiacchiericcio di nani e ballerini del palcoscenico politico italiano, il Mediterraneo diventa terra di conquista per Russia e Turchia. I due Paesi sfruttano le crisi locali per imporre la loro egemonia nel completo disinteresse dell’Italia e dell’Europa. Per non parlare degli Stati Uniti impegnati a tenere saldi i rapporti con le dinastie del Golfo e Israele in funzione anti Iran. E così sarà anche con il nuovo inquilino della Casa Bianca. Del resto, è evidente lo strabismo della Nato che punta i suoi interessi strategici sui confini Russi, schierando armi e uomini a difesa dei Paesi Baltici e dell’Ucraina, dimenticandosi totalmente del fronte Sud.
Di quanto sia magmatico lo scenario con alleanze fino a poco mesi fa impossibili, vedi contatti tra Tel Aviv e Paesi sunniti del Golfo, sono dimostrazioni le esecuzioni mirate avvenute in questi giorni in Persia. Appena venti giorni fa, un commando in moto ha giustiziato, al centro di Teheran, uno dei leader storici di Al Qaeda, Abdullah Ahmed Abdullah nome di battaglia Al Masri e sua figlia Miriam, vedova di Hamza Bin Laden. A distanza di dieci giorni, altra eliminazione di un obiettivo di alto livello: Mohsen Fakhrizadeh ingegnere nucleare responsabile del progetto atomico di Teheran. Uccisioni a cui non si ritiene estraneo il Mossad con l’appoggio di elementi dell’opposizione iraniana e il sostegno dell’ intelligence di Usa e Arabia saudita. Un colpo al cuore della teocrazia sciita, che in questi giorni deve fare i conti con la scomparsa di uno dei suoi generali, il capo del Consiglio del Discernimento, una sorta di organo di mediazione tra il Parlamento e i Guardia della Rivoluzione. Mohammed Mirmohammadi, 71 anni, è stato ucciso da quel killer silenzioso che colpisce ovunque: il Covid 19. Del resto in Iran sono 715.000 casi di contagio e ha registrato a oggi 39.895 morti ufficiali da coronavirus.
Tornando agli scenari geopolitici, la pandemia è utilizzata dalla Turchia per aumentare la sua sfera di egemonia nel mondo sunnita della Mezzaluna fertile. La penetrazione di Ankara, nostalgica dell’impero ottomano, passa appunto attraverso aiuti umanitari come la costruzione di ospedali in Libano, paese che vede attirare sempre più gli interessi turchi. Nel nord del Paese dei Cedri nella zona di confine con la Siria, il Wadi Khaled, le forze libanesi hanno intercettato diversi carichi di armi e materiale, anche sanitario, destinati a gruppi filo jihadisti che operano nella provincia di Tripoli. Due agenti turchi sono stati arrestati. Ankara approfitta dell’avvicinamento tra Arabia saudita e Israele per prendere il posto di Ryad finanziando i movimenti sunniti anche di ispirazione jihadista. Così sta avvedendo nel conflitto tra Armenia e Azerbaijan, dove -oltre al supporto tattico- Ankara avrebbe agevolato il transito di jihadisti reduci dalla Siria per affiancare gli azeri contri gli armeni. Del resto gli stivali turchi in Siria sono ben piantati, truppe sono ormai stanziali oltre confine e in pratica hanno sfrattato i curdi dalla città simbolo di Kobane.
Le navi turche ormai pattugliano il Mediterraneo orientale come fosse il lago di casa, rivendicando la proprietà dei giacimenti di gas a largo di Cipro e arrivando a minacciare le navi greche entrambe alleate nella Nato. Ma Erdogan gioca su più tavoli per perseguire le sue mire e far dimenticare la crisi economica e la repressione. Così è partner di Mosca a fianco di Assad ma si oppone a essa nel Caucaso e in Libia.
Ecco la Libia, deserto ricco di petrolio dove si incrociano destini complessi. La Turchia è scesa in campo a fianco del leader di Tripoli Al Serraij con il suo esercito e non passa giorno che navi turche facciano la spola per portare armi e rifornimenti. Una scelta quella di Erdogan che si oppone a Egitto ed Emirati ma soprattutto contro la Russia. In gioco c’è il petrolio ma soprattutto c’è il controllo strategico del Mediterraneo. Mosca già nel 2008 aveva trattato con Gheddafi per ottenere una base a Bengazi. Oggi appoggiando il generale Haftar, di fatto, Putin ha ottenuto lo scopo. La Rosneft, colosso petrolifero russo, dal 2014 succhia idrocarburi nel deserto libico e i mercenari, ex Armata rossa e militari dell’ex Patto di Varsavia, della Wagner Group operano a fianco delle milizie di Haftar. Generale ben visto anche da Washington, non fosse altro che ha anche passaporto Usa e per anni è stato collaboratore della Cia.
Quello che appena dieci anni fa sembrava impossibile, oggi è una realtà. La Russia può contare su diverse basi nel Mediterraneo, navali e aeree. Ed è per questo che ha ampliato le basi del Mar Nero di Sevastopol e Novorossiyk dove ha sede il comando della Formazione operativa permanente da sempre proiettata nel Mediterraneo. L’impegno in Siria ha permesso ai russi di avere ben due basi navali a Tartus e Latakia dove ha dislocato anche alcuni caccia.
In questo scenario il Grande Gioco l’Isis sembra scomparso. In Siria e Iraq sopravvivono alcuni irriducibili, ma il grosso ha traslocato in Afghanistan, dove creano problemi anche ai talebani con le loro azioni dissennate che colpiscono indistintamente soldati americani, militari afghani e civili. Il mese scorso i combattenti dell’Isis hanno attaccato una moschea, dove si trovavano molti bambini in gran parte rimasti uccisi.
In queste terre dove gli uomini manovrano il loro Risiko, il Covid colpisce senza pietà. Israele, nonostante il lockdown e una sperimentazione del vaccino che va a rilento, non ferma le incursioni in Siria contro le milizie filo iraniane e le uccisioni mirate per procura o per interesse diretto. In Iraq il Covid ha raggiunto livelli allarmanti, con una media di quasi 4.000 nuovi casi riportati ogni giorno e circa 500 morti a settimana. Solo nell’ultimo mese sono stati registrati più di 100.000 casi in tutto il paese già provato da anni di conflitto e due giorni fa, con 5.055 nuovi test positivi, si è registrato il numero di contagi giornaliero più alto dall’inizio della pandemia.
Preoccupa la diffusione del Covid-19 in Libia, aumentata nelle ultime ventiquattro’ore di ben 658 casi. Sebbene i numeri ufficiali siano ancora contenuti (in tutto, 14.624 i contagi, 242 i morti secondo il Centro nazionale libico per il controllo delle malattie, ndr), l’ultimo rapporto comunicato dall’Organizzazione mondiale della salute, Oms, fotografa uno scenario in rapido peggioramento: nelle ultime due settimane, il numero di casi confermati «è più che raddoppiato».
Crescono i numeri dei contagi e delle vittime per Covid nella Siria in guerra, secondo l’ultimo bollettino diffuso oggi dall’Ufficio dell’Onu per il coordinamento umanitario (Ocha).
L’Onu afferma che sono 492 i morti ufficialmente causati dalla pandemia su un totale di 19mila casi positivi da marzo a oggi.Per Ocha la difficoltà di condurre test a tappeto e di raggiungere le diverse aree del Paese, travolto da dieci anni di guerra, spiegano come le cifre ufficiali risultino inferiori a quelle di altri Paesi mediorientali.
Nelle aree governative si registrano 317 morti, nel nord-ovest controllato dalla Turchia 42 decessi, e 133 vittime si contano nella Siria nord-orientale, sotto controllo curdo-siriano.