
Il Cimitero dei Colerosi di Barra è una struttura storica costruita nel 1836 ed originariamente destinata ad accogliere le vittime delle epidemie di colera che imperversarono per tutta Italia ed anche a Napoli nel diciannovesimo secolo.
Si tratta di un rettangolo di terreno ormai incluso all’interno di una zona commerciale ed industriale parzialmente in disuso e cinto da mura che lo isolano completamente dalla strada e dalle attività circostanti. Oltre ad essere testimonianza di un tempo passato, ed espressione visiva di una realtà che per altri versi stiamo vivendo anche oggi attraverso la pandemia di coronavirus, il cimitero è un sito storico nel vero senso della parola. In esso, infatti, e seppellito il fisico e scienziato di origini parmensi Macedonio Melloni, fondatore dell’Osservatorio Vesuviano e nei fatti padre della moderna vulcanologia. Anch’egli fu colto dalla malattia mentre era ospite del palazzo Vergara di Craco a Portici, e dopo la sua morte fu accomunato alle altre vittime, avendo tuttavia un cenotafio suo proprio.
Con l’esaurimento delle varie ondate di epidemia, e la successiva scomparsa dei parenti più prossimi delle vittime, il cimitero è andato gradatamente in disuso, e quella che era una striscia di terra racchiusa da campi coltivati ed aranceti è stata gradatamente inglobata dalla città in espansione. nonostante il suo valore storico, il sito è stato per decenni completamente abbandonato da parte del Comune di Napoli, che statutariamente ne è responsabile in termini di semplice pietà verso i defunti, ed anche per il suo valore di sito rilevante per la storia della scienza. Il luogo è stato invaso nel tempo da erbacce e cespugli, che hanno costituito una foresta inestricabile, la quale ha nascosto alla vista dei passanti le antiche tombe. La sua posizione defilata e l’assenza di qualunque sorveglianza ne hanno ovviamente fatto nel tempo un luogo privilegiato per lo sversamento di qualunque cosa e per la pratica di attività poco chiare.
Solo in tempi recenti il luogo è stato riscoperto grazie all’opera appassionata di pochi volontari, che hanno cercato di creare un movimento di opinione per la sua riqualificazione, e si sono più volte sporcati le mani entrando nel cimitero con dei decespugliatori e provvedendo con le proprie forze a fare ciò che l’inerzia del Comune non ha fatto. Ciò non ha impedito che in tempi recentissimi il sito fosse oggetto di nuovi insulti. Addirittura, un’attività commerciale confinante, dovendo eseguire dei lavori di ristrutturazione, ha montato le impalcature all’interno del cimitero, posizionando un palo proprio sopra la lapide di Melloni, compiendo per altro un reato penale. La vicenda ha raggiunto rapidamente, sempre grazie all’opera dei volontari, gli organi di stampa locali, e almeno questo scempio è stato rimosso.
Ma per il povero cimitero e dei suoi defunti continua a non esserci pace. In tempi recenti all’interno del suo recinto una mano ignota aveva liberato una coppia di caprette tibetane, le quali nel tempo sono diventate cinque, e che attraverso il loro continuo brucare hanno fino ad oggi assicurato la pulizia del terreno. Un’altra mano ignota, mossa probabilmente da motivi meno nobili, ha successivamente denunciato la presenza degli innocui animali all’interno del camposanto. Contrariamente al disinteresse mostrato nel tempo, il Comune di Napoli attivato l’ASL locale e le bestiole sono state catturate e portate via. Si è facili profeti quando si dice che in breve tempo l’area sarà nuovamente invasa dalla vegetazione, consentendo a chi voglia dedicarsi ad attività anche delinquenziali di poter agire indisturbato.
Forse giova osservare che in altri luoghi le capre sono appunto utilizzate come diserbante intelligente per mantenere pulite delle aree di interesse naturalistico o paesaggistico. Non capiamo bene – o forse capiamo troppo bene – quale sia la logica che sta dietro questo atto irragionevole.
L’unica cosa che possiamo dire oggi, è che al Comune di Napoli ci sono delle capre.