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Donare plasma Iperimmune tra Palermo e Roma. La storia di Aurora

Intervista con una Iperimmune che ha deciso di donare il Plasma

Spesso le dichiarazioni dei politici o il dibattito nei talk show hanno portato il discorso pubblico sul tema del Plasma Iperimmune. La sperimentazione è in corso ormai da mesi ma si fatica a trovare donatori. L’ultimo appello al TGR della Lombardia è andato in onda a Novembre, purtroppo la situazione è ancora delicata: non si riesce a trovare un numero sufficiente persone che possano e vogliano donare.

Mentre i risultati continuano ad essere incoraggianti, le richieste sono in aumento ma c’è ancora poca chiarezza su chi e come ci si può candidare per essere donatori.

Su infosec.news, vi riporto la testimonianza di Aurora Incardona, una ragazza che è entrata a contatto con il cc coronavirus in forma lieve, ha sviluppato gli anticorpi ed ha deciso di offrirsi come volontaria per donare il suo plasma dopo aver letto un articolo come questo. Raccontiamo questa storia affinché possa essere da esempio a chi non ha ancora pensato di diventare donatore di plasma iperimmune e a chi vorrebbe farlo ma non sa ancora come fare. In fondo, come leggerete, fare qualcosa di “straordinario” è una cosa semplice.

Preambolo: Aurora ed io ci siamo conosciuti in un gruppo spontaneo di volontariato, Hacking COVID, un gruppo di innovatori riunito con lo scopo di portare aiuto e contributo durante la pandemia. Nel corso dei lavori del gruppo, Aurora ci ha tenuti aggiornati sulle sue donazioni per cui ad un certo punto le ho domandato se potessi raccontarla anche a voi. Ed eccoci qua.

Aurora viene da una famiglia che le ha trasmesso la “cultura della donazione di sangue” come volontaria, attività che porta avanti da ormai 20 anni, cresciuta con l’esempio del padre che ha raggiunto centinaia di donazioni in 50anni di donazioni. 

Marco – Ci racconti il tuo COVID? Come ti sei accorta di averlo contratto? Come è stato il decorso? 

Aurora – Eravamo all’inizio del (primo, ormai possiamo dirlo) lockdown, a Marzo. Ero a Torino, città dove mi sono trasferita per lavoro quasi dieci anni fa. Ho avuto anosmia per una settimana, sono rimasta chiusa in casa aspettando gli altri sintomi più gravi… che per fortuna non sono mai arrivati, subito dopo il mio gusto e l’olfatto sono tornati come prima. Sono stata fortunata. 

Marco – Quindi lì per lì non hai fatto analisi? 

Aurora – Era l’inizio della pandemia, all’epoca la situazione era diversa, si sapeva poco dei sintomi, i presidi ospedalieri erano già nel caos, io avevo accusato solo dell’anosmia per appena una settimana, per il resto stavo “bene” e sapevo con certezza non mi avrebbero sicuramente fatto alcun tampone e non c’era modo di farlo in forma privata, per cui ho fatto ciò che era raccomandato, sono rimasta a casa in quarantena preventiva evitando pure di andare al supermercato. Non sono uscita per 40 giorni di fila perché avevo paura potessi essere contagiosa. Mi sono autoimposta una vera “quarantena” insomma.

A Giugno, per poter andare a trovare in sicurezza i miei genitori, ho fatto il sierologico: positivo. Il giorno dopo ho fatto un tampone, che invece era negativo.

Passa l’estate e faccio un secondo tampone all’arrivo in Islanda, come da procedura nazionale. Anche quello è risultato negativo. 

Marco – E come sei arrivata a diventare una donatrice? 

Aurora – Un giorno, mentre facevo colazione, leggo online del “Protocollo TSUNAMI”  (acronimo di TranSfUsion of coNvaleScent plAsma for the treatment of severe pneuMonIa due to SARS.CoV2) esteso anche a Palermo (io mi trovavo a 50km). Mi è venuto così in mente che quando ho fatto le analisi, avevo valori di IgG molto più alti di altri amici e conoscenti.

Mi sorge un dubbio: forse sono iperimmune.

A quel punto cerco su internet i recapiti del centro di riferimento locale, il Policlinico Giaccone di Palermo. Dopo qualche gag con il centralino riesco a parlare con i medici del centro trasfusionale e mi offro come volontaria. Mando loro le mie analisi per email e mi comunicano che sono arruolabile, grazie anche ai miei 2 tamponi negativi, per cui mi convocano anche se molto scettici considerando che avevo avuto i miei pochi sintomi a marzo, e che gli anticorpi sembrano scemare in poche settimane. Ad ogni modo decidono di procedere e prendiamo appuntamento pochi giorni dopo per fare tutte le analisi di verifica compresa quella degli IgG neutralizzanti. Dopo una settimana iI responso: anticorpi presenti e – come dico io – molto “arzilli” per cui il 30 Settembre, torno a Palermo per donare.

La procedura è semplicissima e per niente dolorosa: è esattamente la stessa della donazione di normale plasma, un po’ più lunga di una donazione di sangue ma a mio avviso anche più “interessante”.

Nota di colore: alla fine della donazione, la colazione offerta con brioches al pistacchio e alla ricotta, altro che la solita merendina confezionata e il succo di frutta …

Marco – Bellissimo, eh beh, la Sicilia… il volontariato può dare esperienze umane inaspettate e meravigliose! E poi come continua la tua storia? 

Aurora – dopo pochi giorni da Palermo mi sposto a Roma per lavoro. Da donatrice so bene che il plasma può essere donato dopo 14 giorni, così mi è venuto spontaneo cercare e contattare il centro trasfusionale che ha adottato il progetto Tsunami nella Capitale, una semplice mail. Vengo richiamata da uno dei responsabili del protocollo del Campus Bio-Medico, e dopo pochi giorni mi reco al campus per la mia seconda donazione. 

Marco – TSUNAMI è uno studio nazionale comparativo randomizzato per valutare l’efficacia e il ruolo del plasma ottenuto da pazienti guariti da Covid-19. Il Prof. Menichetti, responsabile dello studio, di recente ha lanciato un appello ai donatori e alle loro associazioni per stimolare la donazione di Plasma. Tu che ne pensi? 

Aurora – anche chi non è medico capisce l’importanza di donare sangue ed emoderivati per le trasfusioni, pochi sanno delle cure compassionevoli e dell’impiego del plasma in queste cure. La cosa certa è che gli ospedali, le banche del sangue, sono sempre in emergenza ed è il motivo per cui penso che, per chi può, donare sia innanzitutto un dovere civico, oltre a fare del bene al donatore stesso perché tiene sotto controllo le sue analisi nel tempo con costanza. Nel caso del plasma iperimmune, la raccolta è ancora più critica perché i donatori adatti sono pochissimi, ed è una lotta contro il tempo perché gli anticorpi non durano all’infinito. Quando ho donato a Roma, mi hanno detto che stavano richiamando tutti gli ex Covid dimessi alla ricerca di possibili donatori: ma fino a quel momento ero la seconda donatrice adatta. In tutta Roma! Ci pensi?

Ad ogni modo donare il plasma, ma anche il mio tempo, mi aiuta ad affrontare questo costante senso di impotenza, soprattutto in un momento come questo di emergenza in piena pandemia. Ed è la migliore risposta che ho trovato alla domanda che probabilmente ci siamo fatti tutti fin dal primo lockdown: Cosa posso fare io? Oltre a rispettare le disposizioni del governo e delle regioni, usare i DPI consigliati, lavarmi continuamente le mani, usare la mascherina… che sono sicuramente necessari, ma “passivi”. Cosa posso fare io di proattivo? Per provare ad aiutare chi è in rianimazione e non riesce a reagire al Covid-19? Ecco, donare plasma iperimmune è una gran bella risposta. 

Marco – Grazie Aurora per quello che fai e per averci raccontato la tua storia.

Salutiamo i nostri lettori con un appello: donate, Donate, DONATE!

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