
Periodicamente si riaffaccia agli onori delle cronache, su qualche giornale o in qualche salotto televisivo, la manieristica questione dell’inutilità delle spese militari e della possibile migliore allocazione delle stesse a fini civili.
L’ultima protagonista di questa a nostro parere stucchevole polemica è la giornalista Rita Rapisardi, che dalle pagine dell’Espresso proclama “Armi sì, respiratori no: nel 2020 oltre 26 miliardi in spese militari per l’Italia”. Nell’articolo, si mette in evidenza come l’Italia importi ogni anno 7,7 miliardi in forniture mediche e surrettiziamente si suggerisce che le spese militari – definite inutili – potrebbero essere più utilmente reinvestite per evitare di spenderli. Di più, si suggerisce che lo spendere in armi e sistemi d’arma impedisca all’Italia di dotarsi dei respiratori salvavita per i pazienti affetti da COVID-19.
In primo luogo, da attore pluridecennale dell’industria healthcare, mi permetto di far notare che in termini di forniture mediche la bilancia commerciale italiana è ampiamente in attivo. Secondo i dati 2019 di Farmindustria, infatti, il nostro Paese esporta circa 33 miliardi di forniture mediche all’anno, quasi cinque volte il valore delle importazioni di cui sopra. A voler fare una mano sciocca di conti, la sola industria farmaceutica italiana paga non solo il controvalore delle importazioni della stessa categoria, ma tutte le spese militari.
Passiamo poi alla questione di merito, vale a dire se sia ragionevolmente possibile, nel mondo reale e non nelle fantasie filosofiche di certi salotti, fare a meno delle Forze Armate. Per citare un passaggio di un famoso monologo di Jack Nicholson in un film di qualche decennio fa, “Figliolo, viviamo in un mondo pieno di muri e quei muri devono essere sorvegliati da uomini col fucile… chi lo fa questo lavoro? Tu?”. Sebbene a ciascuno di noi, ed in primis a chi in caso di conflitto lascia la sua casa e la sua famiglia per andare a combattere, piacerebbe che il mondo fosse un giardino dell’Eden, non è così. Negare questa semplice realtà significa essere affetti da ingenuità cronica, idiozia congenita, o essere spaventosamente in malafede.
Per chiunque abbia una visione realistica del mondo, avere delle Forze Armate moderne, tecnologicamente avanzate, ben addestrate, è una condizione per stare all’interno delle relazioni internazionali con una posizione almeno di equivalenza rispetto a partners e competitors. Se ciò non bastasse, come sostenuto in un precedente articolo, le stesse Forze Armate costituiscono un presidio senza eguali in situazioni di emergenza, quando le loro capacità e la loro etica di essere al servizio del Paese senza essere scambiati per servi, è essenziale. Rimane quindi intuitivo per chiunque come il sostenere il depotenziamento delle stesse, ed il taglio dei finanziamenti loro destinati, sia un attacco diretto alla struttura stessa della nostra società, che sulla libertà garantita da chi porta le stellette poggia la sua ragion d’essere. Questo a meno che non si servano sciocchi interessi ideologici, o peggio ancora si faccia il gioco di qualche paese straniero che abbia interesse ad avere un’Italia meno bene inserita nel contesto internazionale – non vogliamo neanche pensarci.
Assodata l’utilità delle Forze Armate, verrebbe a questo punto provocatoriamente da chiedersi: ci sono altre spese che potrebbero essere tagliate, per finanziare l’acquisto di nuovi respiratori? A mero titolo di esempio, pur essendo escluso da sostegno diretto dello Stato, L’Espresso riceve come tutti gli altri giornali un rimborso del 35% delle spese “effettivamente sostenute, tracciabili e documentate” su una serie di categorie. Verrebbe in mente a qualcuno che non sia ingenuo, idiota o in malafede dire che con i soldi che spendiamo per il sostegno dell’editoria potremmo acquistare un sacco di respiratori e salvare vite umane? No, perché ovviamente sostenere una stampa che non debba dipendere dai grandi gruppi economici per la propria sopravvivenza è una garanzia di indipendenza e pluralità per il cittadino.
Insomma, l’esistenza di una stampa libera dipende dalla difesa dei valori democratici che la rendono possibile. E per la stessa stampa, attaccare coloro che tali valori difendono per mestiere, è un esercizio di tafazzismo che non vorremmo più vedere.
Alla fine, siamo infatti convinti che l’Espresso serva.