
La pirateria in alto mare sembrava un fenomeno andato quasi ad azzerarsi negli ultimi anni.
La comunità internazionale mediante il Contact Group di Copenaghen (organismo temporaneo dell’ONU appositamente creato per contrastare il fenomeno) aveva ideato modalità operative e procedure giuridiche che in pochi anni hanno consentito di scoraggiare gli autori dello specifico reato e di poterli perseguire pur se catturati in acque internazionali.
Nuclei armati a bordo dei mercantili, la progressiva stabilizzazione della Somalia da dove proveniva la quasi totalità dei pirati e l’attribuzione della competenza al Kenya per la speciale giurisdizione in alto mare sono stati i presupposti per assicurare ad armatori e marinai l’attraversamento di quelle acque in maggiore tranquillità.
Nei primi mesi di quest’anno, secondo un rapporto dell’International Maritime Bureau (IMB), il fenomeno è purtroppo riapparso ed ha segnato un drammatico aumento soprattutto al largo dell’Africa occidentale.
Giorni fa la fregata Martinengo della nostra Marina Militare, in attività nel Golfo di Guinea, è dovuta intervenire al largo delle coste del Benin in soccorso del mercantile Torm Alexandra battente bandiera Singapore sotto attacco dei pirati.
Con un’azione da film, ricevuto l’allarme, l’elicottero di bordo è intervenuto e ha calato un team del San Marco sulla nave riuscendo ad interrompere l’attacco e a metterne in fuga gli autori. Il Martinengo si è poi avvicinato al mercantile per prestare assistenza all’equipaggio nel frattempo posto in salvo nella cosiddetta cittadella, area blindata e protetta della nave.
Se la notizia questa volta ha destato interesse per il coinvolgimento di una nave italiana, i numerosi episodi avvenuti nei mesi scorsi sono passati inosservati.
E sono tanti secondo l’ultimo aggiornamento dell’IMB che riporta 132 attacchi dall’inizio dell’anno, suddivisi soprattutto tra petroliere e portacontainer e avvenuti per la quasi totalità al largo di Nigeria, Guinea equatoriale, Benin e Gabon. Alcune navi sono state colpite con armi da fuoco, 85 membri dell’equipaggio rapiti e 31 tenuti in ostaggio a bordo.
Il rapporto evidenzia un calo sensibile nelle altre aree tradizionalmente dedite alla pirateria quali l’Oceano indiano con in testa le acque somale e Indonesiane.
Siamo lontani dai 400 attacchi che avvenivano annualmente prima che la comunità internazionale prendesse concrete misure.
Considerato che il 90% del commercio mondiale si svolge via mare, gli effetti economici negativi che comporta il fenomeno della pirateria hanno toccato picchi di decine di miliardi negli anni più critici, senza contare i consistenti importi pagati per il rilascio degli equipaggi e il riscatto delle navi e delle merci.
Purtroppo la recente condotta degli attacchi dimostra che alla base vi è un’alta professionalità che non si limita all’abbordaggio o al saccheggio della nave, ma sottende l’intervento di organizzazioni criminali che agiscono in un secondo tempo per trattare la fase riscatto e liberazione dell’equipaggio.
La cattura della nave attuata da manovalanza ben addestrata infatti costituisce solo il momento più appariscente, mentre molto più complessa è la predisposizione del luogo dove l’imbarcazione viene dirottata e tenuta sino alla conclusione delle trattative che, inevitabilmente, comporta il coinvolgimento degli Stati costieri.
La pirateria moderna non deve essere confusa con le imprese corsare del ‘600 divenute popolari per la figura romanzata di Francis Drake, addirittura nominato baronetto dalla regina Elisabetta I in riconoscimento dei suoi successi.
Ora è un grave delitto che ostacola la libera circolazione dei mari e per arginarlo dovrà al più presto essere ripresa la proposta per considerarlo un crimine contro l’umanità, affinchè i responsabili possano essere giudicati da un’apposita Corte penale internazionale.
Intanto un grazie alla nostra Marina Militare che con l’azione nel golfo di Guinea dimostra di non aver mai abbassato la guardia.