
La pandemia di coronavirus ha immediatamente messo in grande attività tutti gli attori industriali del settore farmaceutico con capacità di ricerca e sviluppo, che hanno prodotto uno sforzo senza precedenti nella creazione di un vaccino.
Tale sforzo ha determinato la realizzazione di una decina di potenziali candidati, attualmente a diversi stadi di sviluppo. I due maggiormente accreditati sono il vaccino della società statunitense Moderna, e quello attualmente in studio da parte del duo Pfizer/BioNtech.
Il primo, denominato mRNA-1273, è in situazione di vantaggio rispetto al secondo, denominato BNT-162, ed è atteso che anche in futuro esso sarà il prodotto prevalente. Il vaccino di Moderna, infatti, ha il vantaggio rispetto a quelli tradizionali di una migliore immunogenicità, un profilo di sicurezza più favorevole, ed un processo produttivo più rapido ed economico, che ovviamente sarà determinante nell’assicurare la rapida vaccinazione di ampie fasce di popolazione. I risultati positivi ottenuti negli studi clinici di fase 1 hanno consentito a questo prodotto di ottenere un miliardo di finanziamenti da parte del BARDA – l’autorità statunitense per la ricerca avanzata in campo biomedico – e l’impegno da parte del governo americano di acquistarne in futuro 100 milioni di dosi.
A fronte delle sue favorevoli caratteristiche scientifiche, tuttavia, il vaccino di Moderna ha alcuni aspetti che potrebbero limitarne la disponibilità. L’azienda produttrice, infatti, non ha alcuna precedente esperienza nella commercializzazione di vaccini, essendo fondamentalmente un’organizzazione dedicata fino a questo momento alla sola ricerca e sviluppo. Esistono quindi dei fondati dubbi sulla sua effettiva capacità di produrre e distribuire quantità adeguate del vaccino, sufficienti a soddisfare la richiesta da parte della popolazione mondiale.
A questo si aggiunge il fatto che il governo americano ha legittimamente acquisito una posizione di preminenza nella lunga fila di paesi che vorranno acquisire il vaccino nel futuro. Quale sarà l’ordine secondo il quale le richieste saranno soddisfatte, sarà probabilmente una questione legata ad un complesso intreccio di ragioni politico-economiche, con il governo statunitense nel ruolo di influenzatore.
Il complesso dei fattori di cui sopra, quindi, indica che la strategia migliore per Moderna sarà probabilmente quella di stringere un rapporto di partnership con qualche grande industria farmaceutica esperta nella produzione e commercializzazione di vaccini, come ad esempio l’americana Merck & Co., l’inglese GSK, e la francese Sanofi – le ultime due sono attualmente molto indietro nello sviluppo di un proprio prodotto.
Rispetto a quando il vaccino sarà disponibile, come detto Moderna è l’azienda attualmente più avanti con lo sviluppo, essendo attualmente in corso la Fase 3 degli studi – l’ultima prima che il prodotto possa essere lanciato sul mercato. Le ultime notizie indicano che esso potrà essere commercializzato entro la prima metà del 2021 – presumibilmente tra il mese di marzo e quello di aprile.
Una volta che il vaccino sarà fisicamente disponibile, bisognerà comunque attendere alcuni mesi perché venga prodotto in quantità sufficiente. Da un punto di vista di strategia sanitaria, dunque, è presumibile che in Europa la campagna di vaccinazione avverrà non prima dell’estate del 2021. Questo ha ovviamente alcune conseguenze importanti su come affronteremo questa seconda ondata di COVID-19. È tempo di prendere atto che presumibilmente non avremo – a meno di novità importanti dal punto di vista dello sviluppo di una terapia – alcuna difesa farmacologica contro il coronavirus per tutta la prossima stagione invernale. Ciò vuol dire che rimarranno necessarie tutte le misure di contenimento che abbiamo adottato fino a questo momento. La limitazione degli spostamenti al necessario; l’uso delle mascherine nei contesti non casalinghi; l’osservanza di criteri di grande prudenza nei contatti sociali.
Se la situazione riguardante i casi di ricovero in terapia intensiva e i decessi – il numero dei nuovi casi ha a nostro parere una valenza minore nel giudicare la forza dell’epidemia – non dovesse migliorare, allora un nuovo lockdown nazionale sarà inevitabile. Va tuttavia detto con grande forza che accanto alla necessità di minimizzare la diffusione del virus, vanno adottate misure di ristoro serie nei confronti dei comparti economici penalizzati. E per misure serie non intendiamo la cassa integrazione o l’aleatoria promessa di finanziamenti per compensare i mancati incassi. Ma, fin da subito, un differimento di prestiti, mutui e tasse che da soli sono in grado di distruggere il nostro sistema economico in mancanza di liquidità.
Ovviamente una tale decisione ha implicazioni importanti per il mondo bancario e l’apparato statale, che vanno attentamente, ma realisticamente valutate. Non prendere misure di riduzione delle spese dello Stato oggi, e mantenere il regime fiscale esattamente come ora, può condurre in un futuro molto breve a non avere più soggetti economici in grado di pagare le tasse, con danni di lungo periodo alla nostra struttura economico-sociale di ben più elevata entità. Del pari, non procedere ad una rinegoziazione dei termini di restituzione di prestiti e mutui, può portare un numero molto elevato di aziende a dichiarare default tutte insieme, e ciò costituirebbe, come la precedente crisi del 2008 ci ha insegnato, un pericolo terrificante per la tenuta del nostro sistema bancario.
Sono entrambe decisioni da far tremare le vene dei polsi, ma non prenderle e sperare nello stellone italiano, non ha portato gran fortuna in passato, come la Storia ci insegna.