
L’unica televisione di casa non rientra nei miei passatempi abituali, ma il più piccolo dei figli è ancora piccolo abbastanza per farsi piacere “Striscia la notizia” e quindi gli faccio compagnia. Una brillante operazione antidroga di un Brumotti ciclomontato stronca lo spaccio di stupefacenti in una via di provincia: l’inedita coppia di presentatori Ficarra/Militello chiude il servizio informando l’Italia che la Polizia ha comunicato che sono state eseguite ben due ordinanze di custodia cautelare in carcere per spaccio. Dentro di me penso: poveri sf… sventurati spacciatori, proprio con Striscia dovevate scontrarvi? Altrove avreste potuto continuare indisturbati, o al massimo beccarvi una denuncia a piede libero. E’ difficile farsi arrestare per piccolo spaccio, ma se c’è di mezzo la tv…
Segue un deludente esordio dell’Ispettore Barnaby. Altra riflessione personale: in quel pezzetto della sonnacchiosa campagna inglese ci sono più omicidi di quanti ne abbia visti in sei anni tra Sicilia e Calabria da sbirro! Trama deboluccia, melenso politically correct tra un anziano prete bilioso ed il “vedovo” di una coppia gay, sullo sfondo di stupende lezioni di yoga. Pur non essendo diabetico, è troppo.
Quindi, spedito il pupo a nanna, mi dedico a wa, e cominciano ad arrivare le notizie dei disordini. La prima da Trieste, che mi sembra una fake: c’era la celebrazione dell’anniversario del ritorno della Città all’Italia, magari hanno confuso l’assembramento con una protesta. Oramai, gli italiani fanno fatica a ricordare il 2 giugno, ignorano bellamente il 4 novembre e figurati se il rientro di Trieste nei confini patri non è ignoto ai più. Anzi, all’epoca i triestini festeggiarono anche lo scampato pericolo del regime titino e, probabilmente, dopo 66 anni di Italia e guardando la Slovenia si chiedono tra sé e sé se qualche anno di sacrificio in più non sarebbe stato poi così infruttuoso… Poi però segue Milano, Corso Buenos Aires. Filmato da un balcone, molto evidente. Rettifico la notizia di un amico, che parlava di una bomba lanciata contro la Polizia Locale, mentre dal mio filmato è chiaro che la bomba sia esplosa molto dopo che la pattuglia della Locale -saggiamente- si fosse dileguata a gran velocità, inseguita da qualche decina di malintenzionati. Probabilmente è stata messa in un cestino dei rifiuti alla fermata del tram. Poi i delinquentucci da sobborgo a Torino, in trasferta in via Roma. Vetrine di alta moda infrante, dai video si direbbero magrebini molto giovani in cerca di violenza e furto; sicuramente non protestano per aver perso il lavoro, il fumo si vende ancora bene. Torino prosegue con un paio di video girati dalla figlia di un amico: viuzza laterale buia, passa qualche decina di persone in atteggiamento aggressivo. Consiglio di dire alla ragazza di non filmarli proprio in bella vista sul balcone, ed il secondo filmato viene da dietro le persiane: qualche cassonetto incendiato e via.
Poi Catania…
Troppi, tutti insieme, è la veloce riflessione da sbirro. Oddio, ci sarebbe arrivato chiunque: noi con la mente deformata ci arriviamo solamente un po’ prima, ad onta delle barzellette.
I legittimi e motivati dimostranti della piccola borghesia (anche gli operai sono borghesi, da qualche decennio abbondante) non mettono bombe carta né incendiano cassonetti nelle vie laterali del centro di Torino, al buio e in viuzze poco rassicuranti.
Siccome non sono giornalista al Corriere, associo questi comportamenti ai Centri Sociali, più che all’estrema destra. Per quanto non ci siano significative differenze tra le due ali dello schieramento, se non nel fatto che se fossero stati di destra sarebbero stati caricati. Siccome le Forze dell’Ordine non li inseguono, devono essere di sinistra. Era così anche ai miei tempi, anni ’90, Ministro degli Interni Napolitano: umiliante, ma nihil novum sub soli.
Quindi ricollego il tutto ad un commento che avevo fatto nel pomeriggio ad un amico: perché il Viminale emette una nota, immediatamente lanciata dalle agenzie di stampa, sul pericolo di disordini, ben due giorni dopo i disordini medesimi? Adesso è chiaro: si sapeva già di questi.
Premesso che i delinquenti dei Centri Sociali (non li ho mai chiamati “ragazzi”, ci ho fatto a botte troppe volte e ci ho fatto qualche indagine sopra e posso garantire e provare che non siano “ragazzi”) non hanno bisogno di imbeccate per fare casino, mi incuriosisce il fatto che abbiano aspettato due giorni. Aspettare per aspettare, come spesso hanno fatto, è meglio attendere qualche corteo di protesta e poi infilarcisi per creare il caos e la violenza. Invece, si sono mossi da soli o quasi. Mah. Casomai, avrebbero dovuto agire il giorno dopo i primi disordini, così ti riconnetti, anche politicamente, a quelli. E invece no.
Una domanda sorge spontanea: cui prodest?
Qui si apre un mondo intero. Lasciando perdere acrobazie mentali e dietrologismi, considerato il fatto che l’Autorità di PS lo sapeva e che non è intervenuta… chi sarà? Per quanto la metà dei reparti mobili (che i giornalisti chiamano antisommossa) sia a riposo medico per Covid, qualche blindato del Reparto Celere e del Reggimento Carabinieri si trova sempre.
Alla nota stampa del Viminale, poi, ha fatto corollario anche una dichiarazione di Conte, che affermava che non saranno tollerati disordini. Ma questi li hanno tollerati eccome. Quindi, intendeva dire che non li tollereranno più, ma da domani.
E chi manifesterà domani?
Il personale delle pulizie di una ditta che conosco è a casa in cassa integrazione: ha ricevuto i soldi dall’Inps di marzo e aprile, poi gli è stato pagato solo agosto e stop. L’azienda non ha la liquidità necessaria ad anticipare il dovuto, iniziano ad avere il problema di scegliere se pagare l’affitto o mangiare. Un mio vicino di casa ha un ristorante in affitto in centro: non ha riaperto perché ci avrebbe rimesso ma ora, probabilmente, chiuderà. Quattro cuochi, sette camerieri e tutti i fornitori a becco asciutto. Non ce la fa più nemmeno a pagare l’affitto, ma almeno si è risparmiato la presa in giro di protocolli, sanificazione, paraventi, posti assegnati, amuchina e compagnia cantante. Per poi chiudere lo stesso.
Tranne Bezos e la Cina, siamo tutti a stecchetto, al limite della capacità di sopravvivenza e resistenza. Ben cotti, quasi rosolati, vicini ad essere serviti sul piatto d’argento a chi voglia comprare.
Il diritto alle cure mediche è stato pervertito nel dovere di essere sani. Peccato che nessuno abbia convertito il diritto al lavoro nel dovere di averlo. Forse camperemo di reddito di cittadinanza, anche se da qualche parte i soldi li dovranno pur prendere. Non dalle nostre tasse, perché chi non percepisce reddito è esente. Non dalle tasse pagate dalle aziende, perché la storia ci insegna che ti compra una finanziaria olandese o lussemburghese, per conto di un’azienda francese o tedesca, e poi le tasse spariscono. Anzi, paghiamo le royalty ad aziende straniere per marchi e prodotti inventati e costruiti da noi. O qualcuno fa finta di non saperlo?
Probabilmente i nostri governanti non fanno finta: non lo sanno davvero. Per saperlo, bisogna aver lavorato in un’azienda almeno qualche settimana (l’Inps calcola le pensioni a settimane, quindi occhio). L’insipienza dimostrata nella gestione degli aspetti economici e finanziari della pandemia può avere solo due spiegazioni: ignoranza o connivenza. Certo, la connivenza richiede un atto di coscienza e volontà, che presuppone alcune cognizioni ed il possesso di una intenzione consapevole. Qui mi fermo.
Visto che pretendiamo che le nostre aziende competano sul piano mondiale, senza minimamente renderci conto di cosa questo comporti, facciamo qualche esempio.
Dubai, come si sa, vive di business, posto che la sabbia non ha alcun valore commerciale e che di petrolio non ce n’è. Coerentemente, sin dalla fine del lockdown e quindi da mesi, chi debba andare a Dubai sa perfettamente che le condizioni sono molto semplici e -soprattutto- costanti nel tempo: un motivo di lavoro, un tampone fatto non prima delle 96 ore e la mascherina. Se devo pianificare un viaggio di lavoro a Dubai per aprile, quindi, posso farlo serenamente. Addirittura, sui siti istituzionali e della notissima loro compagnia aerea trovo l’indirizzo ed i recapiti di tutti i laboratori di analisi che sono in grado di fare il test e rilasciare un certificato “pcr negative”, come viene chiamato nel mondo là fuori. Si arriva anche alla finezza di distinguere: nei Paesi con un sistema sanitario affidabile, come la UE per esempio, puoi andare in un laboratorio qualsiasi, mentre in Paesi meno fortunati e più incerti il test va fatto nei laboratori selezionati e puntualmente indicati on line. Le uniche variazioni intercorse negli ultimi mesi sono la lista dei Paesi provenendo dai quali il certificato non è più necessario e la lista dei laboratori. Fine.
Un proverbio veneto dice che in certi casi la toppa sia peggio del buco. Qualche barlume di sano dubbio in materia di commercio internazionale il nostro esecutivo deve averlo avuto, poiché da un certo punto in poi ha affermato che per “esigenze di lavoro” si possa venire in Italia, da certi Paesi “di cui all’Allegato x”, previo test negativo non anteriore alle 72 ore. Ma, secondo “lor signori”, perché a Dubai quegli scellerati ne prevedono 96, di ore? La risposta è semplice: in 96 ore (dall’effettuazione del test, si badi bene, non dall’orario di ritiro del certificato) faccio in tempo a ritirare il certificato, prendere il mio aereo, arrivare, lavorare due giorni e riprendere l’aereo prima della scadenza del mio test. Ovviamente, 72 ore non bastano a fare tutto questo, e quindi potrei essere costretto a fare un altro test prima di poter riprendere il mio aereo, specie se dovessi utilizzare un vettore italiano. Quindi, con le 72 ore danneggio anche il mio eventuale e disgraziato vettore nazionale, oltre alle aziende…
Se, per mia somma sfortuna e come sovente accade per le aziende italiane che vivono di export e prodotti unici o innovativi, devo invitare in Italia un Cliente (si scrive con la maiuscola, nelle aziende) o un buyer (le persone che effettuano acquisti per grandi operatori), devo ovviamente farlo con una pianificazione che spesso è fatta stagionalmente, per quarter (tradotto=trimestri) o semestri. La prima domanda dell’interlocutore è, secondo logica: posso venire in Italia tra sei mesi? E, se sì, a quali condizioni? Ad oggi, la triste risposta è paralizzante: fino al 13 del mese prossimo (circa) così, dopo non si sa. E l’ovvia conseguenza è ricevere una pernacchia. Cosa succede poi? Semplice: l’ex-Cliente o il buyer vanno in qualche altro Paese, che non sia “nave senza nocchiere in gran tempesta” come diceva Padre Dante nel VI Canto del Purgatorio, e comprano là.
Orbene, chiunque abbia lavorato o lavori -sempre in un’azienda, s’intende- queste cose le sa benissimo. Peccato che non se ne accorga nessuno dei presunti nocchieri, né che alcuno di loro chieda al somaro lavoratore di cosa abbia bisogno per continuare a tirare la carretta.
Cosa impedisce di svincolare i dpcm da una norma stabile per entrare in Italia? Nulla, a parte l’ignoranza -nel senso latino del verbo ignorare, ovviamente, non in senso offensivo-. Come sappiamo, però, esistono una ignorantia excusabilis ed una ignorantia crassa et multum culpabilis… Ma qui siamo già troppo oltre.
Torniamo alla serata in tv, visto che lì abbiamo cominciato. Notiziona bomba: a Pesaro, irruzione della Polizia, 80 persone a cena.
Come, per lo spaccio di stupefacenti mandiamo Brumotti in bicicletta, per i disordini non mandiamo nessuno e per una cena mandiamo sei Volanti?
Poi, qualcuno osa chiedersi perché gli italiani dovrebbero scendere in piazza a protestare?…