
All’interno del DPCM 18 ottobre 2020, l’art. 1 comma 1 lett. f) riporta un obbligo riguardante l’app Immuni, che però riguarda specificamente l’operatore sanitario. All’interno del novero delle “Misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale”, è infatti disposta l’integrazione del DPCM 13 ottobre 2020 aggiungendo, fra le “Misure di informazione e prevenzione sull’intero territorio nazionale”, la lett. a-bis) dedicata alla app Immuni, per mezzo della quale viene disposto che “al fine di rendere più efficace il contact tracing attraverso l’utilizzo dell’App Immuni, è fatto obbligo all’operatore sanitario del Dipartimento di prevenzione della azienda sanitaria locale, accedendo al sistema centrale di Immuni, di caricare il codice chiave in presenza di un caso di positività”.
Il tentativo di uniformare la gestione del contact tracing delegato alle aziende sanitarie locali è chiaro, ma siamo sicuri che questo primo obbligo non possa fondare la premessa a future “tentazioni” di inserire obblighi non più limitati soltanto a pretese morali? La consacrazione formale all’interno del DPCM dell’impiego dell’app fra le misure urgenti non è confortante in tal senso, soprattutto perché sulle criticità gravano ancora dubbi e nodi irrisolti.
Volendo esaminare i profili di data protection: dove è la valutazione di impatto aggiornata con i riscontri ai rilievi del Garante cui il Ministero della Salute doveva fornire riscontro entro 30 giorni? La valutazione di impatto è stata riesaminata ai sensi dell’art. 35.11 GDPR in ragione delle “variazioni del rischio rappresentato dalle attività relative al trattamento”, conseguentemente non solo ai profili che potrebbero emergere da questo nuovo obbligo ma anche e soprattutto dalla recente integrazione con il sistema europeo di tracciamento (il c.d. gateway di interscambio) annunciato su Facebook dalla Ministra Pisano?
Insomma: a tutt’oggi non risultano ancora evidenze circa una comprovata efficacia del sistema, né alcuna contromisura adottata per il problema dei cc.dd. “falsi positivi”.
Al di là della diffusa ed entusiasta narrazione di seguire un “dovere civico”, gli argomenti a favore dell’app spesso seguono uno schema ricorrente composto da postulati e attacchi preventivi ad eventuali dubbi e contestazioni. Una fideistica dedizione all’indubbia efficacia della tecnologia selezionata porta infatti ad etichettare come nemici della salute pubblica tutti coloro che avanzano perplessità circa profili tecnici, giuridici o anche pratici e di integrazione con l’organizzazione del sistema sanitario. Spesso, senza entrare nel merito delle contestazioni né aprendo a confronti.
Se non si è stati in grado di promuovere un utilizzo basato sulla fiducia dell’app, è chiaro che possa emergere una tentazione di forzarne l’obbligatorietà tramite normazione d’emergenza. Con buona pace delle garanzie del cittadino digitale.