
Con il rischio di un secondo lockdown, si torna a parlare di Immuni, l’applicazione messa in campo dal Governo per tracciare i contatti e contenere la diffusione dei contagi da Covid-19.
Se non è ben chiaro il numero di persone che hanno scaricato l’app, dal momento che lo stesso utente potrebbe possedere più dispositivi, i dati ufficiali ci dicono che, dal 15 giugno, data in cui è entrata in funzione, i download sono stati poco più di 8 milioni, pari al 18/19% degli smartphone attivi in Italia. Insomma, cifre ben lontane dall’obbiettivo del 60%, che consentirebbe al sistema di tracciamento di funzionare a pieno regime e di dimostrarne l’auspicata utilità sociale.
Questo quadro rende evidente l’assenza di fiducia da parte degli italiani nei confronti di questa tecnologia, che, più che minacciare la privacy degli utenti, sembra non supportata da un’adeguata strategia di interventi di tipo sanitario, che dovrebbero accompagnare il tracciamento digitale.
Dal punto di vista della protezione dei dati personali, Immuni aveva già ricevuto, il 29 aprile scorso, parere favorevole dall’Autorità Garante, la quale, con successivo provvedimento autorizzatorio, emesso il 1° giugno a seguito della valutazione di impatto presentata dal Ministero della salute, ha chiesto di fornire riscontro sull’ottemperanza ad una serie di prescrizioni.
Ma è di pochi giorni fa la memoria del Garante sul ddl di conversione in legge del decreto-legge 7 ottobre 2020, n. 125, recante misure urgenti connesse con la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 e per la continuità operativa del sistema di allerta COVID, nonché per l’attuazione della direttiva (UE) 2020/739 del 3 giugno 2020.
E’ interessante notare le novità introdotte dall’art. 2, ovvero, da una parte, la previsione dell’interoperabilità del sistema di allerta nazionale con le piattaforme che operano nel territorio dell’Unione europea, dall’altra, il differimento del termine finale per l’utilizzo dell’applicazione. Non più, quindi, la fine dello stato di emergenza, bensì, la cessazione delle esigenze di protezione e prevenzione della sanità pubblica, individuate con DPCM e, comunque, entro il 31 dicembre 2021.
In merito, sottolinea il Garante, “la modifica apportata dal decreto-legge assume, tra i parametri cui ancorare l’operatività del sistema, quello sostanziale relativo alla persistenza delle esigenze di prevenzione sanitaria e quello, di ordine formale-normativo, dell’individuazione della sussistenza delle esigenze stesse con dPCM. La garanzia di ultima istanza è, poi, affidata alla previsione, con clausola di salvaguardia, del termine finale di operatività del sistema al 31 dicembre 2021.
Il differimento del termine di efficacia del sistema si fonda, pertanto, su di un doppio ordine di criteri. In primo luogo, rilevano esigenze di sanità pubblica connesse alla necessità di ricostruire, anche digitalmente, la filiera dei contatti, rispetto alla quale il Governo assume la responsabilità di dichiararne la sussistenza con DPCM. In secondo luogo, la garanzia rispetto al rischio di “normalizzazione dell’emergenza” è affidata alla previsione del termine ultimo del 31 dicembre 2021 entro il quale, appunto, prescindendo da ragioni di ordine sostanziale, l’attività del sistema di tracciamento deve cessare.”
Ci auguriamo, quindi, che Immuni non si riveli un flop, come qualcuno ha preannunciato, ma che possa rappresentare uno strumento efficace per contribuire, almeno, ad arginare gli effetti nefasti di questa pandemia.