
Abbiamo osservato nei mesi scorsi come il coronavirus, oltre ad essere la più seria emergenza sanitaria degli ultimi decenni, sia stato e continui ad essere un banco di prova impareggiabile per la leadership a livello mondiale.
Per citare Leopardi, “all’apparir del vero / tu, misera, cadesti”, e ciò che è progressivamente caduto in tutto il mondo è la convinzione che la capacità di dirigere e prendere decisioni sensate sia un tratto comune a chiunque.
Ne abbiamo avuto prova dall’iniziale atteggiamento del governo inglese, che ha tentato di tirare avanti secondo l’adagio business as usual, salvo essere poi costretto ad una precipitosa retromarcia. Ne siamo stati attoniti testimoni quando in Spagna alle allegre manifestazioni collettive dell’8 marzo al grido di vietato vietare, hanno fatto seguito le file di pazienti boccheggianti distesi nei corridoi degli ospedali madrileni. Lo abbiamo osservato nell’arrogante atteggiamento svedese, che ha avuto come unico risultato un tasso di contagio e di mortalità molti più elevati degli altri paesi scandinavi.
Rimettendo i piedi nel Bel Paese, non è che ci sia tanto da stare allegri. Forse i più hanno dimenticato gli aperitivi di certi politici sui Navigli a favore di telecamera, preoccupati solo della propria esposizione mediatica. O forse la maggior parte ha dimenticato l’uscita felpata di un altro esponente politico, noto sventolatore di rosari, che in piena epidemia ha fatto campagna perché si consentisse alle persone di andare a messa il giorno di Pasqua.
In tutte queste situazioni, quando la scienza non è riuscita a fare sentire subito la propria voce, la realtà ha rimesso prima o poi le cose a posto, sfortunatamente al costo di molti morti e di una grande quantità di dolore.
Dove la situazione è ancora molto seria, ed il valore della leadership – o della sua mancanza – si è reso evidente nella gestione dell’epidemia, è negli Stati Uniti. Quasi paradossalmente per la percezione esterna di uno di paesi più avanzati del mondo, la capacità di gestire la questione, nonostante l’amplissimo preavviso rispetto a cosa sarebbe successo, è stata molto discutibile.
Senza percorrere nei dettagli i dati sul numero di contagiati e di morti nella sua drammaticità, il fenomeno di cattiva gestione – legato a idee preconcette e rivelatesi errate alla prova dei fatti – ha indotto una delle più prestigiose riviste mediche a livello mondiale a prendere una posizione tanto irrituale, quanto clamorosa.
Il New England Journal of Medicine (NEJM), un’istituzione nota per equilibrio e serietà dei propri articoli, ha pubblicato un feroce editoriale di critica al potere politico americano, intitolato Dying in a leadership vacuum. Letteralmente: Morire in un vuoto di leadership.
Dopo aver comparato in maniera clamorosamente sfavorevole, e basandosi sulla cruda evidenza dei numeri, la risposta statunitense rispetto a quella di altri paesi, NEJM ne individua spietatamente le cause:
Abbiamo un’enorme competenza in materia di salute pubblica, politica sanitaria e biologia di base e siamo stati costantemente in grado di trasformare tale competenza in nuove terapie e misure preventive. E gran parte di questa competenza nazionale risiede nelle istituzioni governative. Eppure, i nostri leader hanno in gran parte scelto di ignorare e persino denigrare gli esperti. (…) Invece di utilizzare questi strumenti, il governo federale li ha minati. Il Centers for Disease Control and Prevention, che era l’organizzazione leader mondiale per la risposta alle malattie, è stato sventrato e ha subito drammatici test e fallimenti politici. Il National Institute of Health ha svolto un ruolo chiave nello sviluppo dei vaccini, ma è stato esclusi da molte decisioni cruciali del governo. E la Food and Drug Administration è stata vergognosamente politicizzata, sembrando rispondere alle pressioni dell’amministrazione piuttosto che alle prove scientifiche. I nostri attuali leader hanno minato la fiducia nella scienza e nel governo, causando danni che sicuramente dureranno molto a lungo. Invece di fare affidamento sulle competenze, l’amministrazione si è rivolta a “opinion leader” disinformati e ciarlatani che oscurano la verità e facilitano la promulgazione di menzogne.
La conclusione di NEJM è di una tale violenza, per chi conosce il linguaggio misurato di chi scrive di scienza, da dover immediatamente alzare nella mente di qualunque individuo raziocinante un immediato segnale di pericolo:
Chiunque altro sperperasse sconsideratamente vite e denaro in questo modo subirebbe conseguenze legali. I nostri leader hanno in gran parte rivendicato l’immunità per le loro azioni. Ma questa elezione ci dà il potere di esprimere un giudizio. Le persone ragionevoli non saranno certamente d’accordo sulle molte posizioni politiche assunte dai candidati. Ma la verità non è né liberale né conservatrice. Quando si tratta della risposta alla più grande crisi sanitaria pubblica del nostro tempo, i nostri attuali leader politici hanno dimostrato di essere pericolosamente incompetenti. Non dovremmo assecondarli e permettere la morte di altre migliaia di americani permettendo loro di mantenere il loro posto di lavoro.
Da queste pagine, salutiamo entusiasticamente la posizione di NEJM come una salutare boccata di aria fresca nell’aria stantia degli ultimi anni di leadership penose. La realtà, soprattutto quella che mette alla prova le nostre capacità, richiede l’impiego delle nostre migliori energie. Ed è ormai tempo che anche nel nostro paese le ideologie novecentesche, i carnevali di politicanti che cambiano abito usurpando e svilendo le tradizioni di corpi dello Stato, le favole su paesi mai esistiti, l’incompetenza assoluta eretta a sistema di governo, lascino il posto ad una leadership seria e motivata, che guardi al futuro in maniera strategica e sia in grado di usare le migliori risorse del Paese per l’evoluzione civile ed il mantenimento in salute della nostra società.