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Bando a TikTok, cresce il dissenso negli Stati Uniti

Il social media più discusso degli ultimi tempi vive un periodo delicato

Violazione delle libertà personali e danni alle aziende americane: per l’amministrazione Trump all’orizzonte una bella gatta da pelare.
TikTok, il social media più apprezzato degli ultimi tempi, vive un momento particolarmente delicato. Il presidente Trump con un ordine esecutivo ha imposto all’azienda cinese di non intrattenere rapporti commerciali con aziende statunitensi a partire dal 20 settembre, ma c’è di più: viene richiesto di completare un cambio di proprietà entro il 12 novembre.

La giustificazione legale di un simile provvedimento viene fatta ricadere su motivi di sicurezza nazionale, tuttavia sembra non essere l’unico aspetto in gioco. È facile immaginare che questo atto sia parte della strategia di lotta senza soluzione di continuità che le più grandi economie del pianeta (USA e Cina) stanno conducendo da diversi anni in ambito commerciale.
Come il Toninelli dei tempi migliori, anche gli osservatori della politica americana nel dare il proprio parere sul decreto voluto dal Presidente hanno considerato costi e benefici e non tutti sono tutti sono concordi che il bilancio sia favorevole. Se il bando a TikTok consentirà di evitare campagne di disinformazione commissionate dal governo cinese o sottrazioni indebite di dati sensibili, esso costituirà anche un pericoloso precedente in termini di violazione della libertà di espressione. Quest’ultima, così preziosa per i cittadini statunitensi, tutelata dal primo emendamento, secondo alcuni verrebbe pretestuosamente calpestata da motivi economici.

Gli Stati Uniti però non hanno una semplice paranoia, non sono infatti gli unici ad avere forti preoccupazioni sulle app di società cinesi. L’Australia vorrebbe adottare provvedimenti simili dopo aver accusato WeChat, app di messaggistica e pagamenti elettronici, di rubare dati sensibili per inviarli alle agenzie di intelligence cinesi.

Soluzioni meno drastiche, o meglio meno foriere di tensioni internazionali, ci sarebbero. Negli USA non esiste ancora una legge in materia di tutela dei dati personali avanzata quanto il GDPR europeo, non è inoltre previsto alcun obbligo per Google o Apple di revisionare, alla ricerca di problemi di sicurezza, gli aggiornamenti delle app in vendita sui rispettivi store. È chiara la volontà di colpire un’azienda per danneggiare un’intera economia.

Quando le disposizioni contenute nell’ordine esecutivo si concretizzeranno, gli Stati Uniti rientreranno nella lista dei paesi che hanno limitato l’accesso ad alcune piattaforme social. La patria della libertà sarà nello stesso elenco in cui figurano Iran, Corea del Nord, Turchia, Russia e Cina, non proprio strenui difensori delle libertà personali. Le aziende statunitensi tuttavia non contestano il provvedimento per questioni di immagine, è ancora una volta una partita economica: sono pronte dalla Cina sostanziose ritorsioni commerciali come già successo per la questione Huawei. In quel caso mentre si è evitata l’installazione di dispositivi della società di Shenzen all’interno di infrastrutture strategiche americane, è stato inflitto un grave danno ai giganti americani delle telecomunicazioni che non hanno potuto vendere le proprie soluzioni informatiche in Cina.

Una dozzina di compagnie americane, sperimentato l’impatto del precedente bando, hanno già fatto sentire la voce del proprio dissenso presso il Governo che però, per ora, sembra voler andare dritto per la propria strada. Riuscirà a tenere la posizione in piena campagna elettorale?

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