
L’inquinamento da plastica sta diventando un problema sempre più impellente per i nostri mari. Per rendersene conto non serve spingersi a largo, andando alla ricerca delle cosiddette isole di plastica. Affacciandosi da tutti gli 8mila km di costa del Bel Paese risulta subito in modo chiaro che la questione ci sta sfuggendo di mano. A guardare l’inquinamento superficiale fa rabbrividire pensare che circa il 90% della plastica che abbiamo riversato in mare in questi anni si trovi sui fondali, nascosta dagli sguardi dei bagnanti ma ben visibile alle persone che in mare ci lavorano e agli animali che ci vivono.
Come arginare dunque la montagna di 86 milioni di tonnellate che ogni anno viene abbandonata in mare? Ultimamente si stanno moltiplicando le iniziative da parte di università e startup innovative per l’impiego di robot spazzini che, sebbene ancora in fase di sperimentazione, promettono di dare presto un grosso contributo. L’intero processo richiede tempo, risorse e competenze ma la sua applicazione è ormai divenuta irrinunciabile: il World Economic Forum stima che entro il 2050 si potrebbe passare dal rapporto di uno a cinque tra plastica e pesce nel 2014, al rapporto uno ad uno.
Tra i vari progetti in campo SeaClear è tra i più promettenti. Per la pulizia del fondale marino vengono impiegati più robot che interagiscono tra loro. Un sistema di controllo multi-agente assicura che le azioni compiute da ciascuno, come un cambio di posizione e orientamento, siano coerenti e sincronizzate con quelle di tutti gli altri. Telecamere tradizionali, segnali acustici e telecamere spettrali compongono la complessa rete di sensori a disposizione di ogni robot. L’apparato attuatore è invece costituito da pinze e dispositivi di aspirazione che si interfacciano con un bidone centralizzato.
Per distinguere i rifiuti marini dagli organismi animali e vegetali, oltre che per classificare la tipologia di rifiuto che viene prelevato, sono implementati algoritmi basati sull’apprendimento. Questi ultimi risulteranno sempre più efficaci in futuro grazie alla crescente disponibilità di dati come riprese sottomarine e al ricorso a lunghe sessioni di allenamento.
I robot spazzini non sono certo lasciati a loro stessi nel vastissimo ambiente marino. Per tutto il corso dell’attività sono supportati da un veicolo telecomandato e da un drone, i quali forniscono indicazioni precise sulle zone di interesse su cui agire.
Se è vero che in alcune zone all’interno dei porti si riesce più facilmente a fare questo tipo di sperimentazioni, perché limitate a piccole aree, d’altra parte non mancano ulteriori elementi di sfida quali la visibilità più scarsa del solito e la necessità di adottare stringenti misure di sicurezza.
Il consorzio costituito da diverse università europee per finalizzare il progetto denota una sensibilità al problema divenuta trasversale e senza confini. La salute dei nostri mari nei prossimi anni dipenderà dallo sviluppo di idee come questa e dalla volontà politica di popolare il mare di nuovi protagonisti, i robot spazzini.