
Nel 1989, l’anno in cui il muro di Berlino fu abbattuto, in Italia fece sensazione Volevo i pantaloni, un romanzo scritto da una diciannovenne siciliana di nome Lara Cardella. Il racconto, parzialmente autobiografico, narrava le vicende di un’adolescente alle prese con genitori di mentalità d’altri tempi, spinta al punto da non permettere alla figlia di indossare i pantaloni. Il libro fece sensazione per il tema, e perché avviò un’animata discussione in Italia circa i muri ancora da rompere in merito all’emancipazione femminile.
Ad oltre trent’anni da quel libro, si sono fatti certamente moltissimi passi avanti, anche se sia nel campo del femminismo più fondamentalista, che nell’inerzia di determinate strutture sociali, permangono ragioni uguali e contrarie di arretratezza sostanziale. Da un lato, ci si concentra su battaglie caratterizzate da supremo sprezzo del ridicolo, come quelle per femminilizzare a forza vocaboli che sono per loro natura linguistica ed etimologica maschili o neutri; dall’altro, si trascura di dare alle figure femminili che mostrano caratteristiche di eccellenza, il merito che è loro dovuto. Va detto che la mancanza di riconoscimento del merito è comune anche ai loro colleghi maschi, che per il solo fatto di essere giovani, o di aver dimostrato altrove – dopo essere magari scappati dall’ambiente accademico nazionale – ciò che valevano, sono misconosciuti se non del tutto ignorati.
È il caso ad esempio del dottor Alessio Figalli, un ricercatore romano appena trentaseienne, che due anni fa ha vinto la medaglia Fields, l’equivalente del Premio Nobel per la matematica. Dopo aver completato gli studi in Italia, tredici anni fa è diventato ricercatore del CNRS – massimo organo di ricerca francese, e dopo aver insegnato a Parigi e negli Stati Uniti, già da quattro anni è professore universitario a Zurigo. Intanto, i suoi coetanei rimasti in Italia ancora lottano tra post-doc, assegni di ricerca e contratti precari da fame.
Ancora più clamoroso è il caso della dottoressa Anna Grassellino, che con Lara Cardella divide i natali siciliani. A soli trentanove anni, dopo aver lasciato l’Italia per mettere pienamente a frutto le sue capacità, è co-direttore del Fermilab, una delle più prestigiose istituzioni di ricerca a livello mondiale nel campo della fisica delle particelle. Anche lei probabilmente in Italia sarebbe la giovane e marginalmente considerata assistente di qualche accademico, costretta a mettere in pausa vita professionale e familiare in attesa della catartica vittoria di un concorso da ricercatore.
Nelle ultime ore, è stata involontariamente protagonista di un piccolo caso di stampa. Il Social Media Manager del Corriere della Sera, forse tradito da esigenze di brevità, l’ha semplicemente definita come “Anna” nel titolo di un post. La cosa ha scatenato furibonde reazioni sulla rete, causate dalla presunta mancanza di rispetto nel non citarla con il suo legittimo titolo accademico, ma solo con il nome; ed a sua volta motivata dal fatto che si trattasse di una donna.
Come si diceva sopra, questa polemicuccia fa parte di quelle baruffe chiozzotte di cui il nostro popolino si bea, ed alle quali ama applicare la poca capacità critica che decenni di demolizione del nostro edificio culturale e scolastico gli hanno lasciato.
Molto più sostanziale ci sembra un altro aspetto: il fatto che la dottoressa Anna Grassellino, giovane scienziata capace di ricevere il Presidential Early Career Award for Scientists and Engineers dalle mani dell’ex Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, abbia una sua pagina Wikipedia solo in inglese e in tedesco.
Insomma, l’enciclopedia online in lingua italiana, che gratifica di una pagina soggetti molto meno qualificati e degni di attenzione, ignora completamente la sua esistenza ed i suoi risultati.
Capita nella vita di imbattersi in ingiustizie patenti, quelle che ti fanno scrollare le spalle e perdere la fiducia nel genere umano e nei tuoi connazionali. Scrolli le spalle perché di solito non puoi fare niente per aggiustare le cose.
Però, io sono un Wikipediano da oltre un decennio, e posso porre rimedio, riportando idealmente a casa una delle nostre menti migliori, perché venga additata ad esempio a tutti i bambini ed a tutte le bambine che in questo momento guardano noi adulti per capire cosa possono essere da grandi.
Scusi il suo povero Paese, dottoressa Grassellino, ecco la sua pagina nella lingua in cui ha imparato a sognare.