SALUTE

Il Comitato Tecnico Sanitario non è cosa da donne

I verbali delle riunioni del CTS mostrano una partecipazione femminile non solo decisamente minoritaria, ma spesso del tutto assente

I verbali del Comitato Tecnico Sanitario – più o meno volontariamente esposti dal Governo in seguito all’accoglimento della richiesta di desecretazione da parte del TAR Lazio e in pendenza della pronuncia da parte del Consiglio di Stato – hanno reso disponibile e consultabile la documentazione posta alla base dei DPCM relativi alla gestione della pandemia da COVID-19.

Come molti altri curiosi, abbiamo avuto modo di consultare direttamente sul sito della Fondazione Luigi Einaudi i verbali delle riunioni del CTS, e ancor prima di andare sui contenuti siamo rimasto piuttosto sorpresi circa la composizione che vede una presenza femminile decisamente minoritaria. Le riunioni del 3 febbraio 2020, del 7 marzo 2020 e del 30 marzo 2020 non vedono alcuna donna neanche fra gli assenti; la riunione del 28 febbraio 2020 consta di un’unica presenza femminile accanto a 10 colleghi (di cui uno assente), così come la riunione del 9 aprile 2020, accanto a 22 colleghi.

Una certa dose di spirito critico impone quanto meno di porsi alcuni interrogativi, serpeggiati per i social network un po’ in sordina e mai arrivati agli allori dei media e, ancor meno, all’attenzione della ministra per le pari opportunità e la famiglia.

L’auspicio è che la notizia possa causare più insofferenza che reazioni avverse quali: menefreghismo, benaltrismo, negazione del problema et cetera. Tali reazioni sono tutt’altro che asintomatiche, purtroppo, dato che bene o male portano a concludere, rispettivamente, che: “sì, ma chissenefrega”, “ci sono cose più importanti a cui pensare”, “non c’è alcuna questione di genere di cui parlare”.

Certamente, non c’è alcun dubbio che tanto le procedure quanto i criteri di selezione siano stati trasparenti e scrupolosi. È altrettanto indubbio che tutte le evidenze non potranno che confermare la preparazione e competenza di chi siede ai tavoli del CTS dato che non si dubita infatti della professionalità e qualità scientifica di chi è presente. Piuttosto, si nota un’assenza e un assordante silenzio a riguardo. Mantenendo i piedi fermi su logica e contesto, l’anomalia è piuttosto evidente. Statisticamente è incredibile. Insomma: fa pensare, riflettere e anche un po’ incazzare sinceramente.

È infatti alquanto improbabile che non vi siano state donne con l’ambizione di partecipare alla selezione o non all’altezza di superarla, al di là delle poche unità che abbiamo avuto modo di contare e che forse arrivano a comporre una quota rosa decisamente rarefatta (anzi: stricto sensu unitaria).

Il timore è che questo sia un sintomo di una ben più ampia e diffusa questione di genere di cui non la scienza medica bensì la politica deve e dovrà sempre più tenere conto. Soprattutto in tempi di emergenza, è bene che la partecipazione non sia negata da alcuna discriminazione sostanziale escludendo potenziali meritevoli che grazie al proprio apporto potrebbero migliorare analisi, valutazioni e decisioni in situazioni delicate.

O forse dobbiamo pensare che la partecipazione delle donne al CTS sia stata secretata?

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