
Il volo spaziale è questione di carburante, che non serve solo al veicolo, ma anche all’astronauta. L’ambiente proibitivo preclude però la vasta scelta gastronomica di cui potremmo disporre sulla Terra e impone l’adozione di speciali menù interstellari in grado di resistere nello spazio ma soprattutto saziare e apportare benefici all’astronauta e non ingombrare, data la capienza già estremamente limitata.
Gli attuali sistemi alimentari sono stati ottimizzati secondo un unico obiettivo: aumentare la quantità massima di cibo con la minima quantità di denaro. Ma quando lo spazio e le forniture sono limitati, come durante i viaggi nello spazio, è necessaria un’ottimizzazione supplementare.
La NASA e il Translational Research Institute for Space Health hanno pensato quindi a come far crescere una pianta commestibile per missioni spaziali a lungo termine partendo da alimenti freschi e nutrienti coltivabili in spazi ristretti e con risorse limitate. Si sviluppano e si studiano quindi speciali colture spaziali, perlopiù piante a foglie verdi che gli stessi astronauti andranno poi a riprodurre in orbita.
Il candidato numero uno è risultato essere la lenticchia d’acqua, una piccola pianta galleggiante che cresce sulla superficie degli stagni. È consumata regolarmente in Asia, ma è principalmente considerata una pianta infestante negli Stati Uniti in quanto può rapidamente sopraffare gli stagni. Le sue qualità sono però straordinarie. È una delle piante a più rapida crescita sulla Terra, e quella a maggior contenuto proteico del pianeta e produce anche un’abbondanza di importanti micronutrienti. Due di questi micronutrienti sono gli antiossidanti che combattono l’infiammazione, la zeaxantina e la luteina. La zeaxantina è la più potente delle due, ma è difficile da ottenere dalla maggior parte delle verdure a foglia verde poiché le piante a crescita rapida accumulano la zeaxantina solo sotto esposizione a luci estremamente luminose.
Si è notato che sotto una luce relativamente a bassa intensità – meno della metà del sole di mezzogiorno in una chiara giornata estiva – la lenticchia d’acqua accumula più zeaxantina rispetto ad altre piante a crescita rapida in piena luce solare pur mantenendo lo stesso incredibile tasso di crescita e altri attributi nutrizionali che la rendono la pianta perfetta per un “vivaio” spaziale. Starebbero testando inoltre un’altra strategia che potrebbe far crescere la lenticchia d’acqua anche con una luce di intensità inferiore e piani a diverse condizioni di crescita personalizzate per ottimizzare la produzione di zeaxantina in una varietà di applicazioni diverse, non solo in orbita, ma anche all’aria aperta…
Quali benefici apporterebbe? A causa delle radiazioni ionizzanti nello spazio, gli astronauti risultano sensibili ad infiammazioni croniche e alle malattie causate dall’ossidazione cellulare. La zeaxantina e la luteina hanno dimostrato di combattere i danni da radiazioni e le malattie degli occhi, un altro problema che gli astronauti sono soliti sperimentare. Molti micronutrienti essenziali hanno una durata di conservazione limitata – spesso solo pochi mesi – quindi, in caso di missioni a lungo termine, l’unico modo per ottenere questi antiossidanti è farli crescere a bordo.
Vi è però un problema: luce intensa fa sì che la lenticchia d’acqua e altre piante producano zeaxantina, queste però la rimuovono rapidamente dalle loro foglie quando i livelli di luce diminuiscono. Devono quindi formulare una soluzione per favorire la conservazione della zeaxantina.
Attualmente la lenticchia d’acqua viene coltivata in ambienti sterili – prive dei microbi che popolano normalmente l’acqua su cui galleggiano le lenticchie d’acqua – quindi, sapendo che la presenza di determinati microbi del suolo può aumentare la produttività delle piante, il prossimo obiettivo sarà esplorare le opportunità per migliorare ulteriormente la produttività delle lenticchie d’acqua sperimentando comunità microbiche benefiche. Sarà quindi possibile apportare piccole modifiche ad alcune variabili nel modo in cui le piante vengono coltivate e indurle a produrre più micronutrienti; approcci simili adottati con altre colture potrebbero giovare all’intera popolazione mondiale, non solo agli astronauti, e favorire un’alimentazione ancora più salutare.