
I commenti di ogni genere sui fatti di Piacenza si sprecano, e non è assolutamente il caso di entrare nel merito della vicenda specifica. Piuttosto, è il caso di porsi il tema, anch’esso ormai famoso, del cesto di mele marce o del pometo malato. Se il titolo vi pare strano abbiate la compiacenza di seguirmi, concedetemi questo credito. Piacenza è già smarcata, un quarto dei temi è andato.
Anticipo la conclusione: non c’è nulla di cui meravigliarsi, il pometo ha qualche parassitosi. Ma è così per motivi assai diversi da quelli che comunemente vengono discussi, salve lodevoli eccezioni.
Una quarantina di anni fa, Indro Montanelli scrisse un magnifico articolo nel quale affermava che gli italiani amano i Carabinieri perché riconoscono in loro le virtù italiche prive dei difetti tricolori. E aveva ragione. L’assenza dei difetti “de noantri” non era casuale ma frutto di un rigoroso sistema, che riconosceva alle figure poste in autorità poteri molto ampi e incisivi e che nel tempo sono stati dichiarati non conformi alla posizione del Carabiniere di “impiegato pubblico”. Quindi, non tutti quelli che ora si lamentano hanno moralmente il diritto di farlo, qualcuno abbia il pudore del silenzio.
Partiamo dall’inizio, ossia dall’arruolamento. Era proverbiale il controllo sulla moralità della famiglia di provenienza dell’aspirante carabiniere: informazioni accurate fino alla settima generazione e “spulciamento” di ogni possibile aspetto, sul presupposto che l’ambiente di provenienza fosse determinante per la scala di valori che un ragazzo interiorizza. Il Comandante della Compagnia competente doveva firmare un “Attestato di idoneità morale”, senza il quale nessuno poteva essere arruolato. Dirò di più: firmarlo, da parte dell’Ufficiale, era come sottoscrivere una cambiale in bianco, perché se poi quel Carabiniere si fosse macchiato di qualcosa gli accertamenti sarebbero partiti proprio da lì. Qualcuno, magari dopo vent’anni, ti avrebbe chiesto conto del tuo giudizio positivo e avresti potuto pagare caro il fatto di averlo rilasciato. Orbene, siffatta pratica -retaggio di uno Stato occhiuto e moralisteggiante- non è certo più ammissibile nei tempi moderni, in nome della libertà dell’individuo e del suo sacro diritto a partecipare ad un concorso pubblico uti singulo, senza essere penalizzato dall’eventualità di provenire da una famiglia di banditi o di persone di scarsa “moralità”. Cos’è, in fondo, questa “moralità”, se non un pregiudizio basato su concetti opinabili, perché ciascuno deve essere libero di possederne una propria? Un’ulteriore porzione di urlatori di lamentele sarebbe bene che chiudesse il becco.
Quando, nominato Sottotenente, ricevetti in regalo da mio padre una Volvo 740 (usata), appena entrato in Caserma col macchinone venni convocato dal mio Comandante di Sezione, il quale mi chiese senza tanti riguardi come l’avessi pagata. Saputo che l’aveva pagata il vecchio Anchise, mi chiese in visione bollo, assicurazione e libretto di circolazione, come se mi avesse fermato con la paletta. Qualche mese dopo, mi convocò di nuovo e mi chiese il tagliando dell’assicurazione, che in base ai suoi appunti era scaduta giusto quindici giorni prima. La macchina te l’avranno pure regalata, ma mantenerla in regola toccava a te, e dovevi darne conto. Se la stessa scena si verificasse oggi, apriti Cielo! Come si permette un arrogante superiore di ficcare il naso nella mia vita privata, implicitamente dandomi del delinquente? Provate ad immaginarvelo. E un’altra schiera di autori di lamentele sarebbe bene che tacesse.
In provincia di Reggio Calabria arrivavano assai di rado Carabinieri da altre parti d’Italia e non direttamente dalle Scuole, salvo qualche siciliano che intendesse avvicinarsi a casa. Quando arrivavano erano, in genere, trasferiti per motivi disciplinari che recavano un bel “insufficiente” nel libretto personale sulle “Note caratteristiche”, e che erano destinati ad essere congedati qualora il giudizio fosse stato confermato dal nuovo Comandante. Rigavano dritti dritti, e non era raro trovare ex “Insufficienti” tra i migliori Carabinieri d’Italia, raddrizzati nella loro “legione straniera” di deportazione. Provate ad immaginare la scena oggi. L’Avvocato del Carabiniere valutato negativamente presenta immediatamente una istanza di accesso agli atti, finalizzata al ricorso al TAR, ovviamente con istanza di sospensiva perché il trasferimento sarebbe gravemente pregiudizievole. Quindi, la scala gerarchica chiede conto a te che l’hai valutato: sicuro che le cose stiano così? Dove sono le “pezze d’appoggio” che giustificano il giudizio negativo? Ma tu ci avevi mai parlato? Ti sei interessato dei suoi problemi? E via discorrendo. E, molto probabilmente, al giudizio negativo nelle “Note” non potresti nemmeno arrivare, oggi, perché il ricorso al TAR comincerebbe molto prima “avverso un ingiusto provvedimento disciplinare”, premessa indispensabile all’eventuale giudizio di insufficienza… E siccome sono cose che richiedono anni, il coraggioso e cosciente Comandante che ha dato inizio alla “persecuzione” del vagabondo nel frattempo sarebbe stato trasferito altrove, e magari il suo successore non avrebbe avuto lo stesso zelo e la stessa pazienza… Un’altra legione di legittimisti, quindi, non ha diritto alla lamentela.
Vogliamo continuare? Tu Comandante prova a chiedere conto dell’attività di Polizia Giudiziaria, e ti ritroverai con il Carabiniere che insorge perché nessuno tranne l’Autorità Giudiziaria può sindacare gli atti di Polizia Giudiziaria (PG, in gergo). Ed il primo a darti l’altolà probabilmente è qualche Pubblico Ministero (PM), che sul divide et impera fonda il suo potere, sfruttando la familiarità con il Carabiniere esaminato. Magari lo stesso che adesso invoca esemplari sanzioni e approfonditi controlli. Interessi reciproci di bottega, in sostanza. Come ti permetti, che interessi hai dietro?
Poi, scoppia il caso di Piacenza e qualcuno ti chiede perché non hai vagliato accuratamente l’attività di PG del tuo personale… Ma scusatemi: il Codice di Procedura Penale del 1989 mica l’ha approvato il Comandante della Compagnia, no? E cosa dice, il Codice? Che il PM, valutati gli atti di PG, chiede al GIP (Giudice per le Indagini Preliminari) la convalida degli atti di PG. Cosa vuol dire, sigle a parte? Che ciascuno degli arresti o sequestri oggi sub judice è passato per le mani di ben due diversi Giudici, i quali hanno approvato e convalidato ogni singolo atto. Quindi, dovrebbero essere inquisiti anche costoro, e sulla base degli stessi presupposti anche il Palazzo di Giustizia di Piacenza andrebbe posto sotto sequestro e sigillato. Un’ulteriore schiera di giustizialisti e paladini dei magistrati, quindi, farebbe meglio a tacere.
E vogliamo tacere della “democratizzazione”, Cobar, Cocer e compagnia cantante, e prossimamente anche dei sindacati? Solo un folle o chi sia in malafede può non capire che certi istituti non hanno e non devono avere nulla a che fare con le FF.AA. (Forze Armate, stavolta). Alcuni diritti subiscono una certa contrazione? E’ normale e doveroso che sia così, perfino la Costituzione ne parla, non si vede dove sia lo scandalo. Al benessere del personale devono pensare i Comandanti, non i politicanti. E secondo le regole, non con le storture aberranti della “Rappresentanza Militare”, guarda caso coeva alla stessa generazione.
E non creda il Lettore che la situazione sia diversa nelle altre Forze dell’Ordine (FF.OO.): non lo è affatto. Il 15 aprile del 2013, sempre a Piacenza, sei agenti di Polizia sono stati arrestati nel corso di una operazione antidroga… E sorvolo sulle altre FF.OO., per non occupare spazio inutilmente. Non nascondiamoci dietro al dito, gente. E chi è senza peccato scagli la prima pietra.
Se le mele marce proliferano è per lo più colpa del contadino che, invece di custodire il pometo, ha dato libero spazio ai parassiti sul presupposto -assai bizzarro- di un insano concetto della libertà. Non si spruzza più l’antiparassitario in forma preventiva: dovesse morire qualche innocente farfalletta. Poi, se troveremo qualche bruco cattivo questi ne risponderà personalmente. E’ una colossale idiozia.
Ma non è un’idiozia interessata, ahinoi.
Tornando a Montanelli, che ci fossero questi marziani all’interno delle Istituzioni non faceva piacere a molti, tramontata la generazione dei Politici veri che sapevano guardare al di là del potere del momento. Perché i marziani non sono governabili.
Diciamocelo chiaramente: il Questore della Provincia riferisce al Ministro dell’Interno, ossia dall’autorità politica. Ed è giusto che sia così, perché nelle sue funzioni deve rispondere al Ministro. Peccato che sia il capo di tutta la Polizia nella Provincia, ossia della stessa Polizia che -oltre ad occuparsi dell’Ordine Pubblico che è faccenda squisitamente politica- si occupa anche della famosa PG. Ne consegue che l’autorità politica, indirettamente, ha influenza anche sulla Polizia Giudiziaria. Proprio per questo gli “antichi”, che erano assai saggi, hanno previsto che a fianco della Polizia, nell’attività di PG, ci fosse anche un’Istituzione il cui Comandante Provinciale non rispondesse al Ministro ma all’Arma, indipendentemente e secondo le sue regole, piuttosto ferree.
(Purtroppo, nemmeno il Procuratore Capo ha voce in capitolo su questa nomina, e per questo molte Procure, guarda caso, hanno o hanno avuto rapporti burrascosi con certi Carabinieri: alcune indagini non erano poi così gradite al palazzo di Giustizia… Ma questa è materia per un altro articolo e non voglio bruciarmela qui.)
Esisteva, quindi, un equilibrio dei poteri, studiato e collaudato negli ultimi due secoli circa. Ma un equilibrio finisce per non pendere da nessuna parte, e questo non sta bene a mestieranti della politica (con la minuscola) che non abbiano una prospettiva storica.
Accadde che i mestieranti incontrassero sulla loro strada una generazione di Ufficiali (guarda caso nata negli anni ’70, e quindi figli di un’epoca nella quale tutti hanno avuto diritto di parola) che -altrettanto privi di prospettiva storica- fossero ben contenti di ampliare le prospettive di carriera sposando l’idea balzana di un’Arma dei Carabinieri “quarta Forza Armata”, ossia apparentemente autonoma ma di fatto subordinata al potere politico.
Ma come, direte, se è autonoma non può essere subordinata. E invece si che può. I famosi “antichi” (quelli che erano assai saggi) disposero che i Carabinieri fossero comandati da un Generale dell’Esercito. Il senso era: è inutile che tu, Ufficiale dei Carabinieri, venda l’anima al diavolo, perché tanto lì non ci arriverai mai, per definizione. Con questo non voglio dire che il Generale Nistri o i suoi predecessori se la siano venduta, l’anima. Il Gen. Nistri è un Galantuomo di grandi capacità e lo posso testimoniare personalmente dagli anni ’90 del secolo scorso. E’ l’ambiente in sé che si è compromesso. Siccome il Comandante Generale viene nominato, come non era mai accaduto prima, dal Consiglio dei Ministri tra i Generali dei Carabinieri, ecco che la politica (con la minuscola) ha fatto il suo ingresso in un mondo dal quale era stata scrupolosamente tenuta fuori, dal 1814 a tutto il secolo scorso.
Siamo arrivati ad Esaù, come promesso. L’Arma era la Prima Arma dell’Esercito, ma la primogenitura è stata svenduta… Il piatto di lenticchie è la prospettiva della posizione di Comandante Generale e l’apertura al grado di Generale di Corpo d’Armata, una volta precluso ai Carabinieri.
E non mi vengano a dire che è tutta colpa di Ufficiali ingordi, perché la prima porzione di lenticchie fu ammannita negli anni ’90 ai Sottufficiali, attraverso la “equiordinazione” (già la bruttezza del temine avrebbe dovuto destare sospetto) con gli Ispettori di Polizia. Ossia quando qualche stolto accettò come un “progresso” il fatto che un Comandante di Stazione dei Carabinieri venisse equiparato ad un Ispettore di Polizia, al quale nessun “comando” compete. Semplicemente si tratta di due mestieri diversi, ciascuno dei quali avrebbe dovuto essere normato a sé, riconoscendo ai Sottufficiali dei Carabinieri il fatto di essere dei Comandanti, con tutti gli oneri e gli onori (prebende incluse) che ne derivano. Ma l’appiattimento al ribasso pare essere una costante della generazione degli anni ’70… Perfino dentro l’Arma.
E qui sta il problema. Invece di prevedere e riconoscere le specificità di un’Arma che il mondo ci invidia e l’Italia ama, preservandone l’intima natura che sola la faceva funzionare, il concorso di interessi apparentemente confliggenti ha portato snaturare un meccanismo che aveva dimostrato di funzionare in modo eccellente per due secoli.
Sulla base di queste valutazioni presi la dolorosissima decisione di congedarmi, nel 1999. Fu come amputarmi la metà del corpo e tre quarti del cuore… e ancora ne risento. E la cosa della quale sono più triste è quella di aver avuto ragione…
Perdonatemi, vi devo spiegazione della presenza di Giuseppe Verdi nel titolo. Il Maestro di Busseto soleva dire: “Torniamo indietro, sarà già un progresso!”. Prima che sia troppo tardi. Questo, ovviamente, significa anzitutto porre rimedio al coacervo di norme bislacche fiorite dagli anni ‘80/90 in poi: ma questo sarebbe perfino facile, basterebbe riprendere quelle di prima… Quale allenatore cambierebbe una squadra che ha vinto e sta vincendo tutto? E invece è proprio ciò che è stato fatto. Rimettiamo a posto le cose.
Non posso non concludere con la citazione di un Signor Ufficiale di Artiglieria da Montagna (e quindi mio Collega dell’Esercito, della quale Prima Arma sono stato Ufficiale fino al congedamento e continuo ad essere): “110.000 Uomini, 400 Caduti solo negli ultimi vent’anni… solo degli sciacalli possono cavalcare Piacenza”. Attenzione, perché gli sciacalli si nutrono di cadaveri: per rispetto di migliaia di madri, di vedove e di orfani, del sangue dei nostri Eroi e del sudore di 109.993 Uomini (tolti i sette di Piacenza, sempreché siano colpevoli, dai 110.000) abbiamo il dovere di tenere viva l’Arma.
Viva e Fedele a sé stessa.